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Don Umberto Pasquale
guida spirituale della beata Alexandrina

Qualità e attenzioni della guida spirituale alla luce di Don Umberto Pasquale, il monello di Dio, salesiano, direttore della Beata Alexandrina Maria da Costa.

Sono molto lieto della vostra iniziativa di celebrare il centenario della nascita di don Umberto Maria Pasquale e mi fa piacere che uno studio approfondito della sua figura metta in evidenza una grande guida spirituale nel campo del discernimento vocazionale e una immensa capacità di animazione. E' dunque una storia da ricuperare oggi più che mai... C'è davvero una forte mancanza di guide spirituali...

(Don Pascual Chavez Rettor Maggior dei salesiani in occasione della commemorazione centenaria della nascita di don Umberto – Torino 7.10.06)

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Don Umberto Maria Pasquale nasce il 1° settembre 1906 a Vignole Borbera (Provincia di Alessandria e Diocesi di Tortona - Italia). Accolto a Valdocco (Torino) nel 1919, vi frequenta due anni di ginnasio ma viene tolto dal padre per avere manifestato il desiderio di partire per le missioni. Vinte alcune difficoltà, riesce ad entrare nel seminario tortonese di Stazzano. Al terzo anno di teologia ritorna dai Salesiani. Durante il noviziato a Borgomanero presenta la domanda per il lebbrosario della Colombia. In procinto di partire, viene pregato dai Superiori di recarsi per un anno in Portogallo in aiuto all’Opera riaperta poco prima. L’obbedienza provvisoria si prolunga per 15 anni. Ordinato sacerdote a Lisbona nel 1935, dal cardinale Cerejeira, apre nel 1937 la Casa di Mogofores, eretta a noviziato, a cui dà presto una sede più ampia (nel 1939), trasformando la casa primitiva in opere parrocchiali: oratorio maschile, laboratorio per ragazze e nido per l’infanzia. Dà vita alle Edizioni Salesiane che, nel 1945, traslocano ad Oporto e a cui, nel 1947, dà una sede propria. Don Umberto assume ufficialmente la direzione spirituale di Alexandrina l’8 settembre 1944. Egli ordina alla Crocifissa di scrivere settimana per settimana tutto ciò che le avviene, elaborando una specie di Diario composto da oltre 4.000 pagine dattilografate. In un’estasi del 20 settembre 1944 Gesù approva questa decisione del direttore spirituale dicendo ad Alexandrina: «Scrivi tutto e riferisci tutto ciò che riguarda te e la mia causa». Richiamato in Italia nel 1948, viene destinato al Centro Catechistico Salesiano di Torino. Continua a ricevere i Diari di Alexandrina e ne diventa il principale biografo. Viene chiamato a Balasar nel 1965 per preparare il Processo Informativo Diocesano, nel quale è uno dei principali testimoni. Il 7 maggio 1973 ne porta tutta la documentazione a Roma. Muore a Rivoli (Torino) il 5 marzo 1985.

1.0 Storia di una vocazione

Un passaggio essenziale nella metodologia della direzione spirituale è la conoscenza della storia della persona: la sua nascita, la sua famiglia, gli interessi, il cammino spirituale, i segni della chiamata divina. Ognuno è responsabile della propria chiamata. Si vuole evidenziare il valore vocazionale della famiglia, degli ambienti educativi e dei cammini formativi

1.1 “Per arrivare al cielo bisogna accendere una luce”

Appena nato, la madre Caterina lo consacrò alla Vergine Maria. Fu lei infatti che segnò profondamente la sensibilità umana e religiosa del piccolo Umberto, ed in lui coltivò i primi semi della fede e dell’amore verso Dio e verso il prossimo. E’ sua l’espressione “Per arrivare al Cielo bisogna accendere una luce”, detta a don Umberto pochi giorni prima di morire. Quelle parole riassumono la sua vita di donna e di madre, tutta intessuta di fede e di amore per il Signore, per il prossimo e per la sua parrocchia. La luce cui allude è quella della carità che fu la sua unica “regola di vita”. Umberto la assimilò fin da bambino e, negli anni della maturità, con il ministero sacerdotale egli esercitò la carità senza limiti e deviazioni. Lo sguardo silenzioso del piccolo Umberto segue e osserva la madre mentre rammenda gli abiti di tutta la famiglia, e contemporaneamente prega rivolta verso la Madonna di Monte Spineto. Il suo sguardo segue la madre mentre fa pregare tutti i suoi bambini prima di dormire, la segue mentre con il papà recita le preghiere in dialetto. La segue nei suoi numerosi e stupendi gesti di carità verso i bisognosi e quando comprende che lo sguardo interiore della madre è sempre fisso su Colei che è Madre di Gesù e di ogni essere umano, allora anche lui, fisserà per sempre il suo sguardo sulla Vergine Maria e da lei non si distaccherà più.

– L’influsso notevole della figura materna nel segno della fede, della preghiera, della carità. Pare di rivedere Mamma Margherita nell’opera educativa nei confronti di Giovannino Bosco: ciò sottolinea il carattere esemplare della vita: si incide innanzitutto perciò che si è prima e più che perciò che si dice o si fa. Inoltre emerge il ruolo decisivo della famiglia e attenzione pastorale a questa realtà.

Umberto frequentò fin da piccolo i luoghi della fede e della devozione cristiana, accompagnato dai suoi genitori che furono i primi validi educatori con la loro vita semplice e coerentemente vissuta secondo lo spirito del Vangelo. Ma il luogo preferito del piccolo Umberto per raccogliersi in preghiera, furono le belle rive del torrente Borbera; qui mentre portava al pascolo le sue caprette, amava improvvisare altarini alla Madonna alla quale offriva fiori, canti e tante “Ave Maria”… Qui radunava i suoi compagni di gioco e le sue sorelle per pregare…

– Già traspare qui lo stile salesiano del saper radunare i fanciulli, del parlare loro, del farli divertire… Sembra di riveder Giovannino Bosco ai Becchi. Certi segni della fanciullezza non vanno sottovalutati perché indicatori preziosi di una chiamata, di una predisposizione a svolgere un compito.

1.2 Piccolo lavoratore

Ha 11 anni quando viene assunto nel cotonificio del paese e vi rimane per due anni, fino a quando nell’autunno del 1919 entra a Valdocco. Accanto al Cotonificio, nel 1909, le suore di Don Bosco, le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), avevano aperto il Convitto per le operaie dello stabilimento tessile. Le operaie che vivono in Convitto gli passano il Bollettino salesiano che Umberto legge volentieri ed è così che, per la prima volta conosce l’esistenza della Famiglia di don Bosco e dell’opera missionaria che incomincia ad attirare la sua curiosità. Anche in questa stagione risalta il suo temperamento burlone, ma insieme sensibile e attento a chi soffre: siccome era incaricato di oliare le macchine, viaggiava da una parte all’altra su un carrello rettangolare con quattro rotelle sul quale si stende supino, remando con le mani da una parte all’altra tra le macchine per oliarle o per cambiare gli spaghi dei tamburi quando si spezzano. Quanti spaventi fa prendere alle poverette comparendo ora qua, ora là urlando!

Tra le molte ragazze operaie del convitto, nota una che è molto denutrita e pallida. Ne parla alla mamma che da quel giorno gli consegna sempre un pacchetto con pane e companatico per la poverina. Siccome una sua lontana parente era divenuta cieca, in fabbrica fu messa a svolgere un lavoro che aveva esercitato parecchio tempo. Preso da compassione verso di lei, Umberto si alza alle quattro e mezza, la va a chiamare e la accompagna a braccetto fino al cotonificio; lo stesso fa la sera per il ritorno.

Nella Cappella del Convitto dedicata a Maria Ausiliatrice, egli trova un ulteriore luogo di preghiera e di servizio: lì si nasconde a piangere e a pregare nei momenti difficili, lì inizia a fare il chierichetto quando il salesiano Don Oreste Forestelli celebra la Messa per le suore. E’ da lui che si sente rivolgere per la prima volta la domanda se non gli fosse piaciuto diventare sacerdote salesiano, e ciò gli offre la possibilità di orientarsi nella chiamata che già sentiva dentro di sé, ma alla quale non sapeva come rispondere. Aveva 13 anni. 

– Qui è bello sottolineare come la storia vocazionale si esprime nel temperamento della persona, nella sensibilità caritativa che sarà sempre viva in don Umberto, nella laboriosità, nella cura della preghiera, nella proposta coraggiosa e insieme rispettosa del sacerdote: è come un piccolo seme che cade su un terreno buono e fecondo. Inoltre anche la sua esperienza lavorativa lo accomuna alla vicenda di Giovannino Bosco che da fanciullo svolge apprende diversi lavori e mestieri.

1.3 Eccomi a Valdocco!

Un giorno il papà gli consegna un bel cestino di frutta: ”Portalo alle Suore perché è arrivata la Superiora Generale, Madre Daghero”. Arrivato al Convitto suona e viene una Suora ad aprirgli. Le spiega quanto papà gli aveva detto e intanto giunge la direttrice: “Voglio che sia tu stesso a consegnare il cestino. Vieni con me. Arrivato dalla Madre farai un bell’inchino… così…, e le spiegherai chi le manda il dono”. Entra un po’ tremante e fa quanto gli aveva insegnato la direttrice. Madre Daghero, con un bel sorriso, gli posò la sua mano sulla testa e rivolta alla direttrice disse: “Questo bambino lo manderemo a studiare ove studiò Domenico Savio”.

Fu così che nel 1919 Umberto approda a Valdocco. Tra i Salesiani vi erano quelli della prima ora: Don Francesia: “gli correvamo incontro quando usciva dal refettorio affinchè ci parlasse di Domenico Savio, cosa che faceva volentieri e sempre con evidente commozione”.

C’era don Branda al quale apparve Don Bosco quando era direttore nella Casa di Barcellona.

In portineria c’era Marcello Rossi a cui non sfuggiva nulla e che metteva una certa soggezione.

In sacrestia vi era il coadiutore Domenico Palestrino del quale don Francesia raccontò: “Don Bosco una sera, accompagnando un sacerdote forestiero a visitare la Basilica, si trovò di fronte una scena particolare: un ragazzo sollevato in aria, con le ginocchia piegate, nell’atto di adorare Gesù in sacramento: era il giovane Domenico Palestrino”. Fu sacrestano per 45 anni.

Vi era anche Don Maggiorino Borgatello, missionario in Patagonia; gli fu molto amico.

Ogni giorno, dopo pranzo, c’era la visita a Gesù sacramentato e alla Madonna, e seguendo gli altri si trova davanti alla tomba di Domenico Savio. Presto gli divenne amico e, in ginocchio, col volto incollato al marmo della tomba era solito parlargli. Tutte le mattine partecipavano alla Messa.

Nei giorni festivi andava al numero 27 della piazza a servire la Messa a Don Rinaldi, e nei pomeriggi partecipava ai vespri e benedizione.

Fu ammesso tra i cantori dal maestro Dogliani, il quale nell’estate li guidò ad Oropa per l’incoronazione della Madonna. Era presente il Card. Cagliero che già conosceva perché ogni tanto li visitava a Valdocco nella grande sala dello studio. Arrivava d’improvviso e aperta la porta col tricorno rosso in mano si annunciava gridando: “Ragazzi, sono io, Giuanin!”. I ragazzi scattavano con un grido e un forte applauso. Saliva sulla cattedra e parlava di Don Bosco e dei primi tempi di Valdocco. Entusiasmava!

A sera recitavano le preghiere sotto il portico; vi era ancora la cattedra, o pulpito, che aveva usato Don Bosco.

Oltre al Direttore, interveniva a dare la buona notte Don Albera, Rettor Maggiore, o qualche missionario. A Valdocco, sia nelle “buone notti” sia nel grande teatro in prossimità della Basilica, ascoltò molte volte i missionari di passaggio che narravano le loro avventure e le fatiche in terre d’oltre oceano. Lo impressionò soprattutto uno di loro, che lavorava tra i lebbrosi in Columbia; questi accese nel suo cuore un forte desiderio di imitarlo. In verità, già a quell’età avrebbe voluto accogliere nel suo cuore tutti coloro che soffrono, e lo diceva anche a Gesù nella sua comunione giornaliera….

– Qui c’è tutto un clima e un ambiente particolare che Umberto incontra e lo affascina: la pedagogia di Valdocco con i suoi testimoni, le sue tradizioni, la pratica del Sistema preventivo, le “colonne” dell’Eucaristia e di Maria, la storia di don Bosco e dei primi tempi dell’oratorio, le imprese avventurose dei missionari… la vocazione si sviluppa e matura quasi per osmosi, interiorizzando valori, sensibilità mediate da una convivenza quotidiana, da uno stile di famiglia, da una forte comunicazione di passione apostolica e missionaria.

1.4 “Gesù, cosa farò nella mia vita?” (la grande preghiera vocazionale!)

aveva ripetutamente chiesto durante la Comunione, il giovane Umberto mentre era a Valdocco. Aveva 14 anni, finché una mattina Gesù, alla comunione eucaristica, gli risponde con una visione interiore: “vidi me stesso in una pianura sconfinata, nebbiosa, ove erano stesi al suolo molti esseri umani: sembravano morti. Ed io, con una fiaccola accesa, percorrevo quella pianura avvicinando la fiaccola ad ognuno di quegli esseri umani che diventavano vivi e camminavano allontanandosi da me dirigendosi un po’ ovunque. Fu cosa di pochi minuti. A me venne in mente che il mio lavoro sarebbe stato quello di diffondere amore. Sono passati tanti anni ma quella scena l’ho sempre avuta presente. Non ne parlai mai con nessuno. E’ questa la prima volta che ne parlo.”

– La sua vita è la realizzazione di quella visione interiore che egli custodì sempre nel suo cuore. Proprio il mistero dell’Amore incarnato sarà il cuore pulsante del suo ministero sacerdotale, apostolico e missionario, tutto donato al servizio della carità e della verità, per raggiungere chiunque avesse bisogno: i poveri, i sofferenti, i giovani bisognosi ed in pericolo, i lontani da Dio, i bambini, per introdurre tutti alla vita intima con Dio attraverso una attenta ed appassionata catechesi per la quale si è consumato senza risparmiare tempo, fatiche e sofferenze. La sua vivacità prorompente, che lo aveva caratterizzato fin da piccolo, purificata dalla grazia ed incanalata nell’Opera missionaria di Don Bosco, diventa una forza nelle mani dello Spirito Santo, che in lui non trovò ostacoli nel tessere la stoffa del fondatore per compiere veramente “grandi cose”, scrivendo nella sua vita umana e sacerdotale, alcune tra le pagine più belle della storia della Congregazione Salesiana e della Chiesa.

Basta ripercorrere le tappe della sua prima missione in Portogallo, da Estoril a Lisbona, a Mogofores, ad Oporto, a Torino prima e a Leumann poi presso il Centro Catechistico Salesiano, per restare incantati di fronte ai miracoli dell’amore nati dalla sua tenace e creativa determinazione a portare Cristo, il suo Vangelo e la sua Carità a tutti nello stile e nello spirito di Don Bosco.

L’incontro con Suor Lucia di Fatima e con la beata Alexandrina Maria da Costa apriranno nuovi orizzonti per il suo apostolato ed il suo ministero sacerdotale, che si arricchirono ulteriormente dell’esperienza mistica delle due veggenti portoghesi.

Della prima, Suor Lucia, oltre ad esserne confidente fino alla fine della sua vita, fu tra i primi a diffondere il messaggio e la storia delle apparizioni di Fatima attraverso i suoi numerosi scritti; della seconda, fu direttore spirituale dal 1944 al 1955, accompagnandola nel suo doloroso calvario.

1.5 Scoppia la “bomba” in famiglia

Alla fine di quell’anno la matematica gli giocò un brutto scherzo: prese un bel quattro e fu rimandato ad ottobre per l’esame di riparazione. Ma a casa, quell’estate, un bel giorno scoppiò la “bomba”: durante un pranzo papà gli disse in modo imperativo: ”Preparati! Ti ho trovato un posto da cameriere alle Terme di Voltaggio. Ho bisogno che mi aiuti ad allevare i tuoi fratelli e le tue sorelle”. Il vero motivo di quella decisione del papà era che non voleva che Umberto se ne andasse, anche perché un suo collega di lavoro, comunista per la pelle, molto spesso gli ripeteva: “E’ arrivata l’ora in cui accopperemo tutti i preti!”. Quando suo padre gli fece la proposta di mandarlo cameriere alle Terme, lui reagì alzandosi di scatto e si rifugiò nella cappella di Maria Ausiliatrice del Convitto. “Quanto ho pianto! Non mi accorsi neppure che più di una volta qualcuno entrò a cercarmi. Mi ero nascosto dietro l’altare della Madonna. Dopo un’ora uscii passando per la scala che serviva alle persone esterne e, giunto davanti alla finestra della direttrice, ella mi chiamò: “Grande birba! Dove eri? Ti abbiamo cercato dappertutto”. “Ero in chiesa!” risposi. “Impossibile ho mandato varie ragazze e non ti hanno visto”. Le spiegai che ero a pregare dietro l’altare. “Sono venute qui le signorine Amelia ed Elvira Macera, molto preoccupate perché stamane non ti hanno visto in chiesa a servire la Messa… Qualcuno le ha avvisate di averti visto correre piangendo davanti al loro palazzo diretto verso il convitto. Sono venute per informarsi di te aggiungendo che se tuo padre non ti permette di proseguire gli studi per motivi finanziari, loro sono disposte a pagare tutte le spese purché ti consenta di entrare in seminario a Stazzano… Và a parlarne con i tuoi!”

Per nove anni infatti gli pagarono la pensione.

1.6 Nel seminario di Stazzano

Questo insieme di coincidenze facilitò l’opera di convincimento su suo padre e, grazie alla direttrice del convitto e a Don Boccio, fu ammesso in seminario. Dopo pochi mesi lo fecero vice-assistente degli alunni di prima ginnasio. Tra loro ve ne erano parecchi molto poveri e di paesi lontani che di conseguenza non ricevevano visite dai loro cari. Siccome i suoi assistiti erano ancora giovanissimi, sovente strappavano la veste, ed egli divenne il loro sarto che, mentre essi dormivano, rammendava e attaccava bottoni. La povertà gli faceva tanta pena. Nella Settimana Santa, quando si cantavano le Lamentazioni di Geremia: “I bambini chiedevano pane e non vi era chi gliene desse”, Umberto, ancora sacrestano, usciva di chiesa e versava tante lacrime passeggiando da un angolo all’altro del cortile dove non passava mai nessuno.

Durante le vacanze di quegli anni offrì la sua collaborazione alla signora Amelia Macera per organizzare la Crociata Eucaristica tra i fanciulli: ne avevano un centinaio. L’inaugurazione fu fatta in modo solenne per smuovere anche la popolazione. Contemporaneamente fondò l’Azione Cattolica con “aspiranti” ed “effettivi”. Ottenne in affitto una casa con un bel giardino dove si giocava alle bocce e a correre. Il Rettore del Seminario gli concesse di andare al paese quasi tutte le domeniche per curare la gioventù e a fare un po’ di catechesi agli adulti servendosi delle proiezioni con la macchina comprata alla Lega Eucaristica di Milano e le diapositive della “Scuola” di Brescia.

La notte precedente l’inaugurazione della bandiera del Circolo, i fascisti sfondarono la porta della sede con l’intenzione di farla a pezzi. Per fortuna sua mamma l’aveva in casa poiché doveva stirarla e fu benedetta solennemente in chiesa con la presenza di giovani cattolici di altri paesi. Però i fascisti si vendicarono distruggendo tutto: l’armonium, la macchina delle proiezioni, la biblioteca, i quadri e persino il Crocifisso. Il fattaccio servì ad attirare l’attenzione e la simpatia sul Circolo. Prima di allora era difficile vedere uomini e giovani avvicinarsi ai sacramenti al di fuori del tempo pasquale o per il giorno dei morti. Ma l’Azione Cattolica rinnovò la popolazione.

Per la beatificazione di Don Bosco ottenne, con difficoltà, il permesso di andare a Torino per la traslazione della salma da Valsalice a Valdocco. L’ambiente del seminario pur essendo buono, era però molto diverso da quello di Valdocco. Oltre al quadro di Don Bosco, cercò di portare anche un po’ del suo spirito.  Diffuse a piene mani la stampa salesiana, con parecchia difficoltà riuscì a convincere i Superiori ad erigere un palco nel vecchio refettorio per qualche rappresentazione teatrale. Vivace com’ era diede vita alle ricreazioni dei piccoli seminaristi e organizzò il canto liturgico gregoriano che aveva imparato alla scuola di Dogliani.

Frequentava il terzo anno di teologia e, dovendo ricevere il suddiaconato, si sentiva soffocare al pensiero di legarsi alla diocesi e di dover limitare la sua attività ad una parrocchia. Ritornò l’idea delle missioni e un bel giorno fuggì dal seminario.

Il giorno seguente il Rettore del seminario lo mandò a chiamare dalle suore per informazioni sul suo progetto. Il direttore spirituale, Don Boccio, mandò un suo compagno a supplicarlo di ritornare in seminario perché don Boccio, fondatore delle Piccole Figlie del Sacro Cuore, “intende fondare un ramo maschile e sogna che tu sia per lui quello che fu Don Rua per don Bosco”. Già sapeva di questo progetto, ma l’insistenza scatenò in lui una grande lotta e il timore di mettersi in un cammino che non era il suo. Andò a Genova ed espose il suo caso alla signorina Amelia Macera che lo presentò al suo direttore spirituale, un gesuita. Parlò a lungo con lui e la sua sentenza fu che era fatto per la vita salesiana. La sua parola lo tranquillizzò.

– Anche questa tappa non breve della vita di don Umberto è estremamente illuminante in ordine al discernimento vocazionale: lui è in seminario, ma il suo cuore e il suo spirito sono a Valdocco. Si tratta proprio di capire dove uno è con la mente e con il cuore, di costatare se uno davvero si è giocato in ciò che crede e di riconoscere e lasciare che uno percorra la strada per la quale il Signore lo ha chiamato. Inoltre non vengono meno i tratti della vita e della missione salesiana: canto, gioco, teatro, carità, allegria, associazionismo… Si tratta di scoprire anche il terreno giusto in cui uno è fatto per crescere, senza forzature e imposizioni e di saper orientare con carità e prudenza.

1.7 Solo nel cammino

Se la parola del padre gesuita di Genova gli tolse ogni dubbio circa la sua vocazione, davanti a lui c’era un cammino che doveva percorrere da solo. In casa suo papà non gli parlava, dal parroco non poteva aspettarsi molto. Eccetto qualche comparsa, la sera, nella sede dell’Azione Cattolica, evitava anche di uscire di casa per non dare motivo a pettegolezzi.

Un mattino sua mamma bussò alla porta della sua camera, entrò e gli disse: “Sono andata a Messa e ho ricevuto il Signore. Pregandolo, mi sono ricordata che quando tu sei nato, ti ho consacrato alla Madonna. Ora non voglio riprenderle quello che le ho offerto, anche se ho sempre sognato di seguirti e stare con te in qualsiasi parrocchia finché vivo. Mi costa, ma non fartene un problema. Segui la tua vocazione. Non dire nulla a tuo padre e a nessuno. In giornata ti darò il denaro necessario: vai a Torino, parla con chi devi e fatti salesiano. Non preoccuparti di me. Il Signore mi aiuterà come ha sempre fatto durante tutta la mia vita”.

Il giorno seguente prese il treno per Torino e si presentò ad un segretario dei Superiori Maggiori e gli espose la sua domanda. Gli fu risposto di ritornare la settimana successiva. Si sentì in un letto di spine… anche perché non aveva in tasca un gran capitale e doveva camminare sempre a piedi. Ripresentatosi al segretario gli venne comunicata la risposta dei Superiori: “E’ meglio che ritorni in Seminario…”. Fu un’amara sorpresa che dovette inghiottire in tutta la sua amarezza. Non potendone proprio più andò a piangere nella chiesa di Santa Maria e un giorno, come un automa, entrò in sacrestia e domandò ad un Sacramentino se era possibile essere accettato nella loro Congregazione. La cosa era fattibile e in poco tempo. Di lì andò in via Santa Chiara ove abitava Carlotta Bruni, la mamma di Gustavo, il serafino di Gesù Sacramentato che Umberto conosceva attraverso Don Anzini. Nella conversazione le fece conoscere la risposta datagli dal Padre Sacramentino, e lei con prontezza gli disse: “Per essere Sacramentino bisogna essere disposti a lasciarsi macinare per diventare farina. Tu non sei fatto per questo. Molto meglio essere salesiano come il mio Antonio che si trova a Foglizzo”.

Da via Santa Chiara andò alla Basilica di Maria Ausiliatrice e, dopo aver pregato per molto tempo, riuscì ad entrare nella cappella dove era collocata l’urna di Don Bosco e gli disse piangendo: “Come vedi i tuoi figli non mi vogliono; pensaci tu perché io non ce la faccio più!”.

Il giorno dopo si ricordò di don Vosti che era stato suo confessore nei due anni di Valdocco. Durante la sua permanenza in Seminario gli aveva mandato parecchi abbonati a “Gioventù Missionaria”. Quando entrò lo riconobbe subito e lo accolse cordialmente, e quando gli espose tra le lacrime ciò che stava passando egli lo confortò: “Metti il cuore in pace. A Novara c’è Don Rivolta Ispettore, ed è mio compagno. Vedrai che ti farò ricevere nella Ispettoria Novarese. Ripassa giovedì!. La Madonnaci aiuterà… Abbi fiducia!”.

– Questo periodo così travagliato aiuta don Umberto a riconoscere la chiamata di Dio alla vita salesiana. Il discernimento comporta momenti di solitudine, anche perché alla fine la scelta della vita la deve fare la persona interessata e chiamata e nessuno può sostituirsi a questa responsabilità. Si conferma un tratto costante della personalità di don Umberto: nei momenti di crisi e di prova va in chiesa e lì piange, prega… e sempre trova una risposta. Altro aspetto ricorrente è la presenza di figure femminili che lo orientano, lo aiutano e lo sostengono nelle sue scelte e nelle sue opere. Ancora una volta nei momenti decisivi compare la mamma che, come Mamma Margherita, pronuncia grandi parole di fede e di profonda saggezza educativa e spirituale. C’è una dimensione mariana, materna e femminile nell’esperienza del carisma salesiano che non sottovalutata, né disattesa.

1. 8 Professione religiosa nel nome di Maria

L’anno successivo fu ammesso al noviziato di Borgomanero e fece la professione religiosa l’8 settembre 1932 prendendo il nome di “Maria”. A Lei doveva tutto. Contemporaneamente fece domanda per andare fra i lebbrosi in Colombia. Domanda che fu accolta l’anno dopo.

Terminato l’anno scolastico, fu chiamato a Torino per ricevere il Crocifisso insieme ad un gruppo numeroso di giovani che partivano per le missioni. Prima gli fu concesso di recarsi un po’ in famiglia. Ne approfittò per visitare il lebbrosario di Genova per avere un’idea degli ammalati di lebbra. Trovò tra di loro tanta serenità; uno di essi volle fargli udire una suonata con la sua chitarra.

Ma un giorno fu chiamato da Don Berruti: “Figliolo, vorrei chiederti un favore. Giorni fa venne dal Portogallo il visitatore Don Domenico Cerrato a chiedermi un insegnante di greco per il nostro studentato. Fammi questo piacere! Accetta almeno per un anno. Non ho altri che te. Ti sarà utile per abituarti a vivere all’estero. Tra un anno andrai in Colombia. Vai dal sig. Aprili che ti dirà il da farsi. Bisogna che tu parta al più presto perché le scuole sono ormai iniziate”.

Parte per il Portogallo: quell’anno durerà 15 anni!

1.9 Maestro dei novizi

All’inizio delle vacanze del 1938, l’Ispettore Don Ermenegildo Carrà, di ritorno dall’Italia dove si era incontrato con i Superiori Maggiori, lo chiamò per dargli una obbedienza inattesa: “Andrai come direttore e maestro dei novizi in una Casa che apriremo a Mogofores in regione Bairraida, oltre Coimbra, in diocesi di Aveiro”. Don Umberto espose alcune difficoltà: “Sono sacerdote da pochi anni, due soltanto, non ho l’età canonica, 35 anni, per essere maestro… e poi non mi pare che io abbia le qualità, tanto meno la voglia del comando…”. “I Superiori sanno tutto ed hanno già ottenuto da Roma la dispensa per ciò che riguarda l’età. Vedrai che ce la farai!”. Si mise a piangere… Ma a nulla valse. Portò nel suo cuore la pena del distacco dai suoi giovani con i quali aveva lavorato tra i poveri di Monsanto. Si dedicò allo studio più approfondito dello spirito di Don Bosco, delle circolari dei Superiori Maggiori, dell’ascetica cristiana ecc. Programmò le conferenze per tutto l’anno e lo schema nutrito del primo mese: la conoscenza e la formazione dell’uomo e del cristiano. Immesse i novizi alla sequela di Cristo, tenendo Maria come modello, maestra ed aiuto, sulla via tracciata dalla liturgia, e Don Bosco come padre, avrebbe modellato il religioso salesiano. Gli furono di grande aiuto le circolari di don Albera e di don Rinaldi.

Il paese di Mogofores si trova nella regione Bairrade, sulla linea ferroviaria Lisbona-Oporto, ad una trentina di chilometri da Coimbra, nella diocesi di Aveiro. Tutta la Bairrade era sotto l’influenza della massoneria che, con l’avvento della Repubblica, in Portogallo aveva combattuto ogni manifestazione religiosa. Mogofores era senza parroco da circa sessant’anni, o meglio, aveva il parroco che risiedeva a dieci chilometri di distanza. Lo sorprese subito l’atteggiamento di freddezza nei riguardi dei salesiani da parte degli adulti ed anche dei più giovani, compresi i fanciulli. La prova più eloquente e dolorosa la ebbe nei giorni festivi, quando nella Chiesa parrocchiale aveva soltanto cinque o sei persone. Quando i novizi facevano la loro ricreazione, potevano essere visti da chi passava per strada. Fu questa la tattica per sollecitare la curiosità dei fanciulli, che a poco a poco, incominciarono ad entrare nel cortile e a partecipare ai giochi dei novizi. La voce si sparse e il loro numero aumentò incredibilmente. Fu necessario che un sacerdote se ne prendesse cura. Ordinò al fabbro del paese una trentina di cerchi di ferro, e si organizzò una corsa per le vie di Mogofores capeggiata dal salesiano.

– Una vita fatta di svolte improvvise, quasi fulmini a ciel sereno, ma sempre lette e vissute con grande spirito di fede. Educare ai tagli, ai cambi di prospettiva, a orizzonti inattesi. Sono potature che fanno soffrire, ma aprono a nuove fecondità.

2. Don Umberto Maria Pasquale e la direzione spirituale di Alexandrina M. da Costa [1]

 “Tutta la mia vita non è stata che un intreccio provvidenziale di amore e di dolore. Per motivi storici, legati a due anime privilegiate, suor Lucia di Fatima e Alexandrina Maria da Costa, ho dovuto parlare necessariamente di me. Ma quanto ho detto fu necessario per la storia come l’ombra che mette in risalto la benignità della grazia. Chiedo il silenzio sulla mia umile collaborazione”.

– Questa espressione di don Umberto è rivelativa del ministero della direzione spirituale: l’ombra che mette in risalto la grazia, un servizio a favore della crescita della vita divina e della volontà di Dio sulle persone. Una missione che richiama quella del Battista “illum oportet crescere, me autem minui”.

2.1 Lo stile salesiano della direzione spirituale di don umberto

La vocazione di maestro di spirito, dotato di un finissimo e sicuro discernimento spirituale, don Umberto la coltiva sia con contatti a viva voce, che con collegamenti per lettera. Sono centinaia gli indirizzi delle persone che si tenevano regolarmente in contatto con lui per la direzione spirituale, e tra queste non mancarono anime con doni particolari. Anche negli ultimi anni, quando la malattia rallentò la sua operosità, erano decine le lettere che scriveva al giorno.

La direzione spirituale, per Don Umberto, si trasforma spesso in “ministero della consolazione”: conforta, incoraggia, illumina. E non manca il ministero della carità più concreta e silenziosa. Il flusso di beneficenza che gli giunge è notevole, ma tutto viene devoluto a sostenere opere e istituti, a sollevare situazioni difficili.

Aveva una personalità eccezionale, in cui spiccava un temperamento forte e vibrante. La sua spiritualità forte e ricca si fonda su alcuni punti cardine:

· un intenso e costante amore alla Madonna a cui tutto attribuisce nella sua vita;

· una dedizione appassionata al ministero sacerdotale e apostolico, nel quale profonde il meglio delle sue ricchezze interiori;

· la sofferta sensibilità alla miseria, alla sofferenza, al dolore dei piccoli e dei poveri;

· l’attenzione carismatica al mistero delle coscienze e al fiorire silenzioso della santità;

· la dedizione sacrificata alla sua missione catechistica che lo fa diventare un diffusore instancabile della Parola di Dio;

· il senso profondo della preghiera che lo porta a logorare la sua corona del Rosario in un dialogo ininterrotto con la Vergine Maria;

· il salesianissimo e dinamico amore per la gioventù, la più povera e abbandonata, che incontra tante volte sul suo cammino;

· la gioia, l’allegria, lo scherzo: il ritratto che emerge dalle pagine del memoriale è quello di un bambino in cui esplode la gioia e la voglia di vivere, di un ragazzino vivacissimo che ha il pepe dentro. “Ero e mi sento ancora un monello”, scrive di sé Don Umberto. Il suo essere, fino alla fine, il simpatico “monello di Dio”, lieto, allegro, scherzoso.

2.2 Cenni storici

Alexandrina M.da Costa era stata diretta spiritualmente dal gesuita P.Mariano Pinho dal 16 agosto 1933 al 6 gennaio 1942, data in cui il sacerdote dovette interrompere il suo ufficio di guida, in obbedienza ai Superiori che, per la bufera scoppiata contro Alexandrina, temevano di compromettere la Congregazione. 

Durante i 10 anni della sua direzione, egli l’aveva sapientemente accompagnata lungo il difficile cammino di anima vittima chiamata a condividere, attraverso vie straordinarie, la Passione redentiva di Gesù Cristo a beneficio dell’umanità. La direzione spirituale di P. Pinho veniva interrotta nel momento in cui stava per realizzarsi nella Chiesa un importante desiderio espresso da Gesù ad Alexandrina: la Consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria effettuata da Papa Pio XII nell’ottobre 1942, e per la quale P.Pinho si era fatto portavoce ripetutamente presso la Santa Sede fin dal 1937. Per questa missione Alexandrina e Padre Pinho soffrirono il martirio del cuore, subendo una violenta persecuzione morale che entrambi vissero con carità eroica, perdonando i propri persecutori e rinunciando a difendersi per non accusare coloro che mentendo avevano costruito accuse diffamatorie su di loro; essi affidarono solo a Dio la difesa della loro causa che era umana e divina, ed attesero con santa pazienza “l’ora di Dio”, l’ora della “risurrezione” che  inequivocabilmente e definitivamente dice la verità sui figli di Dio rivelandone la loro santità[2]. Tra le voci contrarie e discordanti di quel periodo vi fu anche quella di un medico ateo che sosteneva che tutta l’esperienza di Alexandrina era da attribuirsi ad una nevrosi isterica.

Privata del direttore spirituale, Alexandrina  rimase per due anni sola, senza ricevere luce e sostegno nel suo doloroso calvario. Contemporaneamente nel 1942, era iniziato per lei il digiuno totale che aveva scatenato ulteriori polemiche nonostante le verifiche positive dei medici. Alexandrina per 13 anni visse ricevendo solo la Comunione, astenendosi dall’ingerire cibi e bevande, un nuovo martirio questo, per dimostrare al mondo il valore dell’Eucaristia. 

Fu in questo periodo particolarmente difficile e drammatico, che per la prima volta Don Umberto ricevette la richiesta di occuparsi della direzione spirituale di Alexandrina. Mentre si trovava a Fatima, la signorina Marianna Ines de Mello, glielo chiese a nome di un padre gesuita di Maceira de Cambra. Don Umberto, che aveva conosciuto la storia di Alexandrina attraverso un articolo di P.Terças, non si mosse. Due anni dopo la stessa signorina, diventata carmelitana, rinnovava a don Umberto la richiesta di recarsi a Balasar per dirigere Alexandrina, ma anche questa volta il sacerdote addusse diversi motivi per declinare l’invito: la distanza tra Mogofores e Balasar, i suoi numerosi impegni come maestro dei novizi, il timore di compromettere la Congregazione ed infine la sua inesperienza nel campo della mistica. Ma nel mese di giugno del 1944, mentre si trovava a San Miguel das Aves in predicazione, durante il pranzo di chiusura della missione, sentì alcuni sacerdoti commentare sfavorevolmente i fenomeni che avvenivano in Alexandrina: “E’ una isterica”, diceva uno, “E’ una imbrogliona”, commentava un altro; e un terzo: ”C’è qui in paese, nel monastero della Visitazione, Madre Chantal che può dire qualcosa perché è stata diretta spiritualmente da Padre Pinho”.

Questo episodio lo amareggiò molto: “Ne rimasi triste- scrisse don Umberto- e pensai: non è giusto parlare in quei termini contro il prossimo. La prudenza sacerdotale vorrebbe altra tattica; che si avesse cioè il coraggio di avvicinare l’ammalata e studiarla da vicino. Se si trattasse di un caso doloso, inganno volontario, come essi dicono, bisognerebbe far prendere coscienza all’interessata della sua responsabilità davanti a Dio. Se si trattasse di un caso patologico e psichiatrico si dovrebbe usare carità, mantenerlo segreto e consigliare l’interessata a farsi curare; diversamente se ci si trovasse di fronte ad un caso serio e straordinario è necessario prendere le difese della poverina a costo di qualsiasi sacrificio”.

– Questi pensieri intimi di Don Umberto, per noi molto preziosi, ci rivelano la purezza del suo cuore. Alla luce della carità che animava il suo essere e che illuminava correttamente il suo pensiero aveva visto e sofferto l’ombra dell’anticarità e del parlare non corretto. Scattò in lui la molla di colmare il vuoto d’amore verso una sconosciuta, Alexandrina, e di conoscerla personalmente per amore della verità. Inoltre manifesta un acuto spirito di discernimento nel fotografare la situazione di Alexandrina e nel prospettare le soluzioni idonee al caso. Direzione spirituale dice prudenza, volontà di avvicinare le persone, capacità di leggere le situazioni con verità e carità, smascherando ciò che non è vero e promuovendo ogni germe di bene. Il discernimento soprattutto in fase iniziale è opera di “vaglio critico”: discernere ciò che è falso e ingannevole (sentieri tortuosi); ciò che è malato e ferito a livello psichico e morale (valli da colmare, monti e colli da abbassare); ciò che è buono e va difeso e promosso (strade da costruire). Richiamo alla missione del Battista: preparare al Signore un popolo ben disposto.

2.3 Al servizio della carità e della verità, nell’umiltà del cuore.

Partì quindi alla volta di Balasar: “Entrai in quella casa benedetta il 21 giugno 1944, era mercoledì”[3]. Per alcuni giorni visse lì come ospite, parlò a lungo con Alexandrina, osservò l’ambiente che la circondava, il venerdì assistette all’estasi, e poi fece ciò che gli sembrava più urgente: confortare chi soffriva. Scrisse Don Umberto: “Gesù ha suggerito ai suoi (discepoli) che, nell’entrare in una casa, dicessero prima di tutto a quanti l’abitavano: “La pace sia con voi!”. La casa della famiglia Costa viveva allora l’angoscia desolante causata da coloro che si tormentavano a trovare le spiegazioni più strane al digiuno e alle estasi di Alexandrina”[4].

Al termine della sua permanenza, Don Umberto poté dire la sua parola di pace. Era andato a Balasar per cercare la verità su Alexandrina ed aveva incontrato la verità di Dio che si manifestava nascondendosi in quella povera creatura paralizzata da oltre 20 anni, sommersa da un mare di sofferenze per amore delle anime. Da quel momento con coraggio e determinazione, si mise al servizio della carità e della verità, un binomio che lo accompagnò e lo contraddistinse sempre  nella sua vita sacerdotale. Padre Pinho, nel libro Sul Calvario di Balasar scrive: “Fin dalla prima visita, Alexandrina sentì in quel figlio di Don Bosco, come un angelo che giungeva a confortarla ed incoraggiarla a salire il suo duro calvario. Gli aprì l’anima facilmente, diversamente da quanto avveniva con altri sacerdoti che la visitavano, ed in settembre lo considererà come suo secondo direttore mandatole da Dio”[5]. Don Umberto si accorse subito della sua ascesa mistica e le domandò se aveva scritto ogni cosa. “No, Padre. Quando avevo il direttore, per obbedienza, gli scrivevo ogni dieci o quindici giorni. Da quando me lo hanno tolto, non ho scritto più nulla”. “Secondo me – le risposi – non fa bene. Qualora il suo direttore ritornasse, come farà a rendergli conto di tutto affinchè la possa guidare?”. Se per caso ne subentrasse un altro, peggio ancora, come potrà orientarsi per dirigerla? Lo faccia per Padre Pinho. Se vuole, posso aiutarla, per non pesare sulla sorella Deolinda”.

– Alcuni elementi della direzione spirituale: ministero di consolazione e di verità: curare le ferite delle persone come un buon samaritano, con l’olio della consolazione e il vino della gioia.

– Il Direttore spirituale è innanzitutto un dono di Dio, è mandato da Dio (cfr. S. Claudio della Colombiere, Padre Sopocko, Padre Pinho, Don Umberto Pasquale). “Io l’ho scelto, io l’ho mandato”. Credo che questa consapevolezza sia poco presente e vada fortemente richiamata ed evidenziata. E’ il Signore che suscita le guide del suo popolo ed è lui che manda (credo che ciò valga molto anche per l’animazione vocazionale). Il direttore spirituale è dono: è Dio che sceglie e manda. Ciò dice che nel direttore deve emergere la coscienza di essere un mandato e in chi viene diretto quella di accogliere la mediazione del Signore nel proprio cammino di fede. Tra direttore e diretto c’è il Signore, con il suo Spirito e la sua grazia. Senza questa presenza si riduce il rapporto ad amicizia, a terapia psicologica o altro.

– Il valore dello scrivere e del comunicare ciò che si sta vivendo e il dare continuità e ordine al cammino spirituale.

– La direzione spirituale come aiuto nel percorrere il cammino della croce, il vivere l’essere discepoli del Cristo crocifisso e risorto.

– L’importanza del primo incontro come momento di grazia che segna il cammino futuro: momento soprattutto di ascolto, di lasciar liberi nell’esprimere ciò che uno vuol dire e vuole manifestare. Atteggiamento di bontà, di accoglienza, di amicizia spirituale.

– L’importanza di creare una piattaforma di intesa e di confidenza che faciliti il rapporto tra le persone: davvero attraverso questo tipo di ministero si stabiliscono dei rapporti diversi tra le persone anche perché ci si incontra a livelli di vissuto personale e di storia vocazionale.

Ritornato a Mogofores, stese subito una relazione particolareggiata per i Gesuiti di Maceira de Cambra, che gliela avevano chiesta, su quanto aveva osservato durante la sua permanenza a Balasar. “Mi ha impressionato la sua rara semplicità, il suo equilibrio, la sua unione con Dio, la sua serenità nella sofferenza. Non so spiegare, ma parte da lei una irradiazione grandissima di bontà che mi ha comunicato due cose: un concetto più chiaro e sicuro della misericordia e dell’amore di Gesù, ed una volontà più viva di corrispondere al Signore. Interrogata da me circa alcune prove che devono averla fatta soffrire molto, mi ha risposto con la maggior naturalezza, senza prendere l’atteggiamento di vittima, e col sorriso, senza la minima condanna contro nessuno; ha dichiarato soltanto, e con espressioni brevi, che la impressionava il pensiero che tali cose rattristassero molto il Cuore di Gesù. Le sue conversazioni su misteri e cose spirituali sono di una ortodossia evidente, impeccabile, superiore all’istruzione di una ragazza del popolo, che non ha letto trattati né vite di santi, eccetto qualche opuscolo od articolo di qualche rivista popolare. Ha un linguaggio semplice ma elevato, proprio di una persona colta e grande proprietà di espressione. Intorno al suo letto non c’è il clima di una infermeria, ma si respira la gioia più soave e santa come si fosse in una chiesa. E’ una ragazza accogliente, di una carità finissima, previdente e provvidente che fa pensare alla bontà di san Francesco di Sales. Vive di amor di Dio, vive di amore per il prossimo; dimentica di sé, vuole soltanto il bene e la salvezza delle anime. Se volessi dire tutto non la finirei più. E quanto dissi si riscontra in lei senza pretese, senza atteggiamenti forzati o studiati. Lo straordinario che avviene in lei è come una cosa sola con la semplicità e la prudenza limpida che, secondo me, sono le qualità più preziose in un’anima del genere. Non sono io a dover giudicare Alexandrina, ma nonostante ciò, per gli elementi che ho, nessuno mi convince che non si tratti di persona degna di fede e che, invece di essere abbandonata e messa in dimenticanza, dovrebbe essere accompagnata nella sua vita spirituale affinché il Signore, anche se non abbisogna degli uomini, possa, attraverso la direzione di un sacerdote colto, prudente e santo, portarla per le vie a cui la chiama…”(12.7.1944).

– E’ qualcosa di straordinario questo profilo redatto da don Umberto circa Alexandrina solo dopo pochi giorni di frequentazione di quest’anima mistica. Rivela un altissimo intuito spirituale e insieme tratteggia i caratteri di un vero direttore spirituale: colto, prudente, santo, che sa riconoscere l’opera di Dio e umilmente collabora al disegno divino. Nelle opere di Dio c’è una “santa fretta”, un “non indugiare”, nel riconoscere i segni e l’azione dello Spirito. I ritardi, le incertezze, i rimandi, le lungaggini, non aiutano nessuno. Don Umberto fotografa la situazione, la comprende (verbo chiave nella metodologia della direzione) e Alexandrina si affida e si confida.

– Grande gioia nel cuore: se vissuto come ministero è fonte di grande gioia che rafforza il cammino di crescita umana, cristiana e vocazionale delle persone e crea dei rapporti veri e maturi. Anche in questo ambito scatta una specie di patto educativo-vocazionale che attiva le dinamiche della fiducia, della confidenza, dell’intesa.

– Emerge la continuità nella direzione spirituale nel rispetto e nella stima di chi lo ha preceduto. Non vi era in don Umberto la minima intenzione di assumere la direzione spirituale poiché come egli scrisse, l’aver conosciuto i doni e la grandezza di Alexandrina lo spaventava di fronte all’idea di dirigerla spiritualmente. Inoltre Alexandrina considerava P. Pinho il suo Padre spirituale e a Don Umberto non venne mai in mente di sostituirlo. Fin qui egli, resosi conto della autenticità e del valore dell’esperienza mistica di Alexandrina e delle sue virtù, si preoccupò solo di insistere presso di lei affinché continuasse a dettare i “sentimenti della sua anima”, lavoro interrotto per due anni dopo l’allontanamento di P. Pinho.

– Nel frattempo, a fine luglio, (27.7.1944) l’Autorità Ecclesiastica sulla base della relazione presentata dalla commissione teologica incaricata di studiare il caso “Balasar” emetteva una disposizione in cui si proibiva di assistere alle estasi di Alexandrina ed in cui si affermava che “nel suo caso non vi era nulla di soprannaturale”. Inoltre la relazione, sulla base delle dichiarazioni false di tre donne del paese, conteneva delle insinuazioni molto offensive e diffamatorie su Alexandrina e P. Pinho. La disposizione venne letta dai parroci delle diverse parrocchie durante la S. Messa domenicale con grande dolore di Alexandrina, che amante del silenzio e del nascondimento si sentì lesa nel suo desiderio di riservatezza.

2.4 Don Umberto direttore spirituale: 8 settembre 1944

Fu alla fine del mese di luglio che Alexandrina chiese a Don Umberto la sua direzione spirituale. Don Umberto non rispose subito alla richiesta di Alexandrina, ma volle parlare con il primo direttore spirituale P. Pinho. Si incontrò con lui a Maceira de Cambra e in quell’unico incontro gli espose quanto lo preoccupava, e gli manifestò il suo timore per la mancanza di preparazione a questo compito. P. Pinho rassicurò don Umberto su Alexandrina e concluse dicendogli: “E’ sua. Gliela affido. Non tema di assumersi questa responsabilità perché il Signore le darà luci sufficienti”.

– L’umiltà del cuore aveva portato Don Umberto all’incontro con il sacerdote gesuita che lo aveva preceduto nel difficile compito della direzione spirituale. Non si fidò solo di se stesso, ma volle affidarsi anche al parere di chi lo aveva preceduto; così facendo egli iniziava la sua nuova missione continuando sui passi dell’altro, in una comunione di spirito che, senza nulla togliere alla propria specificità, dava forza e serenità ad entrambi. Il loro rapporto personale, pur risentendo della distanza che li separava (P.Pinho  fu mandato in Brasile, Don Umberto ritornò in Italia) non si alterò mai sul piano spirituale dove rimasero sempre uniti lavorando per la causa di Dio e di Alexandrina. Anche in questo, entrambi, con il loro esempio essi hanno scritto un’altra bella pagina nella storia della Chiesa e delle loro rispettive Congregazioni.

– Ciò testimonia un altro elemento vitale della direzione spirituale: non è una proprietà privata, ma un ministero che conosce tempi per “ricevere” e tempi per “consegnare” ad altri. C’è una dinamica di ricevere- trasmettere anche nel ministero della direzione, evitando ogni forma di esclusivismo o di “proprietà privata”.

Il giorno dopo, ella sentì Gesù che le diceva: “(…) Unione pura, unione santa, unione divina sulla terra e in cielo. Da’, figlia mia, a chi ben lo merita (Don Umberto), il mio ringraziamento e quello di Maria, il mio amore e quello di Maria”.

Don Umberto accanto a queste parole aggiunse questo commento: “Tra il direttore spirituale e l’anima da lui diretta, Dio stabilisce una parentela assai più stretta e salda di quella basata sui vincoli del sangue”. (diario Alexandrina 15.9.1944)[6].

– E’ come Maria un portare Gesù e un portare a Gesù un dono di paternità e di amore per i fratelli. Una dinamica di reciprocità: comunione d’anima tra le persone a livello di vissuto spirituale e di riflessione di vita; a volte si incontrano soggetti molto ricchi spiritualmente e molto avanti nella vita di grazia e nella scelta vocazionale dove ci vuole molta delicatezza e c’è sempre anche da imparare oltre che ricevere stimoli.

Assunta la direzione spirituale, Don Pasquale difese l’autenticità dell’esperienza mistica e delle virtù di Alexandrina, con una relazione nella quale, punto per punto controbatteva il parere negativo emesso dalla commissione dei teologi contestandone anche il modo superficiale con il quale essi avevano condotto la loro ricerca che si basava più sulle affermazioni calunniose di tre donne del paese e molto poco sulla conoscenza diretta e sullo studio degli scritti di Alexandrina. (ottobre 1944).

– Una direzione orientata ad un discernimento vocazionale esige conoscenza diretta, colloquio, lettura di scritti…

– Dopo questa relazione anche per Don Umberto giunse dall’Arcivescovo di Braga e dal Suo Superiore, Don Ermenegildo Carrà l’invito di non occuparsi più del caso di Balasar. Per tre mesi il sacerdote non si recò da Alexandrina, ma la Comunità salesiana di Mogofores insorse e Don Carrà, recatosi con Don Umberto a Balasar ritirò il provvedimento permettendo così al sacerdote di proseguire il suo compito di guida spirituale.  

In quel momento molto difficile per Don Umberto, non mancò anche per lui l’aiuto straordinario di Gesù, che attraverso Alexandrina nell’estasi del 2 dicembre gli rivolge queste parole di incoraggiamento: “(…) dì al mio caro Don Umberto che l’ho condotto qui per difendere la mia Causa divina: non fu lui a scegliere di venire. Con coraggio e tutta la fermezza, lotti insieme ai miei amici, che già lottano per me (…)”.

Don Umberto dopo alcuni mesi di osservazione scrupolosa, constatato che Alexandrina era sul retto cammino, con un lavorio interiore di non comune perfezione secondo una meta ben determinata e ben delineata, lasciò che essa continuasse il suo cammino accontentandosi di vigilare, di stimolare, di rassicurare[7]. (Tre verbi chiave dell’accompagnamento: vigilare, stimolare, rassicurare)

Di lei Don Umberto disse: “Alexandrina, anima molto aperta, era anche di una obbedienza unica, docile come un bambino, umile oltre ogni misura”[8].

– Ecco i caratteri della persona che si lascia dirigere: apertura [confidenza, trasparenza], obbedienza, docilità [lasciarsi condurre come un bambino] e umiltà.

2.5 Don Umberto condivide i dolori morali e spirituali di Alexandrina, anima vittima.

”Vivevo unito ad un’anima vittima: un vero “fascio di sofferenza” per usare l’espressione plastica di Gesù ad Alexandrina. E’ logico che ogni suo dolore si sia riflettuto pesantemente su di me, suo padre spirituale. Le umiliazioni pubbliche a cui l’hanno sottoposta, le tenebre del suo spirito, le pene dell’inferno, sofferenza a cui ho assistito impotente di darle qualche sollievo, la partenza del suo primo direttore spirituale per il Brasile, tutto questo mi ha fatto spargere molte lacrime, sparse di nascosto per non aggravare col mio i suoi dolori.”[9]

“Con anime come la sua, ci si convince subito e profondamente che il vero Direttore è lo Spirito di Dio lo Spirito santo, e che le tenebre portate dalla vita contemplativa non si diradano con parole umane”.

– Essere guide spirituali è anche un cammino di croce, è condividere il travaglio delle fede con chi si accompagna e offrire per chi si dirige sofferenze, dolori. La direzione è un generare nel dolore e nella sofferenza.

“Sia pace a questa casa!”. E il messaggio di pace, cui si accennò, assumeva in questi casi un significato del tutto speciale pieno di mistero.

La pace che supera ogni senso, Alexandina non la perdette mai.

Era una pace mantenuta a costo di tremende lotte, di dolori del corpo e dell’anima, ma era permanente. Se il suo spirito provava l’angoscia era perché assisteva all’annientamento della sua parte umana inferiore, era perché l’infinito l’assorbiva e la schiacciava.

Lo stesso strazio si comunica al Direttore spirituale che non trova parole per addolcire la piaga e che intanto constata quanto il suo balbettare sia, momentaneamente, luce, balsamo per trasformarsi forse subito in tenebre e fiele[10].

Nella lettera del 26.2.1946 a Don Umberto Alexandrina scrive: “Soltanto alcune parole e anzitutto per ringraziarla per tante attenzioni, premure, parole amiche e così colme di conforto; poi per dirle di stare tranquillo, di non soffrire tanto a causa mia. Chiedo preghiere, ma non voglio farla soffrire perché io, nonostante il mio dolore indicibile ho l’anima in pace: non so come resistere al dolore, ma è dolore nella tranquillità dello spirito. Mentre gli occhi del corpo piangono le lacrime più tristi ed amare, l’anima sale verso Dio, gli rinnova l’offerta di vittima e gli dice “Sia fatta la tua volontà”. (…) In mezzo a tanto dolore Lo voglio benedire. Voglio benedirlo sempre nel tempo e nell’eternità. Voglio confidare in Lui fino all’ultimo momento della mia vita”[11].

Ed ancora scrive Alexandrina: ”Sono stata un po’ di tempo col sacerdote che venne per dare luce alla mia anima e togliermi dai dubbi. Mi pareva non fosse vero che l’avevo vicino; lo sentivo così lontano e non c’era mezzo per arrivare a lui.” Lettera 22.2.45

Gesù nella notte le spiegava: ”Coraggio, mia amata. (…) Non ti lasciai sentire consolazione dalla visita del mio caro don Umberto, né a lui di vederti consolata: fu per trarne tutto il profitto per le anime. Fu perché gli uomini vedano ciò che è l’anima abbracciata alla croce e salda nell’amore per Gesù, e perché non interpretino le cose dal lato dell’entusiasmo. Da’ al mio caro don Umberto i miei ringraziamenti per essere venuto a dar vita all’anima della mia sposa, della mia vittima amata. Dagli le mie grazie, benedizioni e amore: a lui e a tutta la Congregazione(…) E’ il premio che gli do con mia Madre benedetta, che egli ama, ed Ella lo ama tanto” (26.2.1945).

“Ci si chiederà - scriveva Don Umberto - in che consista allora l’azione del direttore a beneficio delle anime in questi stati mistici. Cogliamo la risposta da una frase di Gesù ad Alexandrina: “Senza un Direttore rimarresti peggio dei ciechi che mai conobbero la luce: essi non vedono, ma credono che la luce esiste. Tu resteresti come se non credessi nulla. Hai bisogno di appoggio continuo e di chi ti affermi che la luce esiste, che i tuoi cammini sono i miei, i più spinosi: il calvario più difficile da salire.” (1945)

Sembra una missione da poco ed è tutto. Come è da compiangere l’anima che è privata di questo poco che è tutto e che costa tanto poco! [12]

2.6 Il dolore della separazione e della solitudine.

Nella direzione spirituale di Alexandrina, “vi fu un dispiacere che ha superato tutti gli altri, e ciò non soltanto per me – che per i miei peccati debbo riparare tanto il Signore – ma anche per Alexandrina. Mi riferisco alle due volte in cui fui costretto ad allontanarmi da lei.”[13]

L’allontanamento definitivo da Alexandrina avvenne nel 1948 quando Don Umberto ritornò in Italia richiamato dai Superiori.

Nel suo diario del 24 settembre, Alexandrina scrive: ”Nella mattinata di ieri soffrivo tanto, tanto senza sapere il perché. Sentivo come se il cuore e l’anima dessero sangue per bagnare il mondo. Alcune ore più tardi ho ricevuto il mio secondo colpo spirituale. Mi sono congedata da colui che Gesù ha messo al secondo posto nel mio cammino, quale guida e sostegno della mia anima. Ero senza Comunione, egli andò a prendere il mio Gesù perché avessi più forza per il colpo che stavo per ricevere. Pochi minuti dopo lo vidi partire. Vedendomi piangere mi disse: ”Sia fatta la volontà di Dio”.

Risposi: ”Va bene, ma la volontà di Dio non ci toglie il cuore”.

Ed egli mi rispose: ”Ma dà la forza”.

“Sì, lo so che la dà; se in queste ore mancasse la forza di Gesù, sarebbe cosa da disperarsi”.

“Pensi che ha Gesù nel suo cuore!”.

“Sì, ce l’ho, ma lui non rimane triste per le mie lacrime. Nostro Signore la ripaghi per ciò che ha fatto per me, da parte mia non so e non posso. Sono state le mie ultime parole.

Rimasero a parlare le mie lacrime che offrivo ai tabernacoli come atti di amore. Mi sentii tanto sola, tanto sola, in un abbandono totale. Senza volerlo ricordavo il primo colpo ricevuto la cui ferita è ancora da cicatrizzare”.

 Nell’estasi del giorno successivo, Gesù tra l’altro le dice: ”Confida! Tutto è nei piani divini. Sono questi i cammini degli eletti del Signore. Sia che gli uomini facciano o no la mia divina volontà, io scrivo dritto su righe che non lo sono. Nella tua vita permetto tutto per maggior  splendore e gloria mia”.

“Non dimenticherò mai più le lacrime che ella versò ed il dolore che provai nel lasciarla sola nella sua tremenda lotta. Le lettere che mi scriveva ed i sentimenti dell’anima che lei dettava, che si riferiscono a quel periodo dicono in modo chiaro come affrontò quell’ultima tappa del suo doloroso calvario. Ogni lettera, ogni suo diario, furono per me una dolorosa spina perchéimpossibilitato di aiutarla da vicino a portare la sua croce che negli ultimi tempi diventò dolorosamente pesante. Questo abbandono in cui il Signore la volle negli ultimi anni le era stato predetto nel 1945. Predizione che io stesso non compresi. Gesù le aveva detto: ”Fui io che chiamai Don Umberto per darti luce e conforto perché ne ho veduta la necessità. Ma sarà per poco tempo”.

Alla vigilia della partenza per l’Italia Alexandrina scrive a Don Umberto: “Se Gesù mi vorrà sola, proprio sola, senza avere unito a me, o meglio presso di me, un sacerdote che mi comprenda, il mio cuore si copre di tutta l’oscurità e rimango come senza speranza; con fatica copro le lacrime e a volte non sono capace di nasconderle. Ma questo non vuol dire che non accetto con la gioia dell’anima anche questo colpo, il secondo colpo spirituale, se Gesù con esso mi vuole ferire.

Può credere, mio buon Padre, e sia questa mia lettera come un testamento, che lei è, dopo il mio primo padre, il secondo padre spirituale ad occupare posto nel mio cuore. Sono i due padri per i quali prego di più, che hanno più unione nella mia anima e che mi comprendono meglio. (…)

Addio! Non dimenticherò mai il grande bene, il grande sostegno che ha dato all’anima mia. Lo ricordo sulla terra e lo ricorderò in cielo. Molto grata. Chiede di benedirla e di perdonarla la povera Alexandrina.” Lettera 30 agosto 1948

2.7 Considerazioni di Don Umberto sulla direzione spirituale

“Nella direzione di anime particolari è tanto facile e purtroppo molto comune, l’errore di imporre freni e regole, che possono essere utili a un principiante. Ma quanto rispetto è necessario per non frenare anime che avanzano rapide, portate dal vento dello Spirito santo e distruggere in tal modo la vigna. (Essere umili servitori nella vigna del Signore e non cinghiali che devastano e rovinano)

E’ tanto facile l’errore di voler plasmare una santità a modo nostro, anche modellata in una forma già approvata dalla Chiesa e vissuta in una data Congregazione religiosa. Ci si può dimenticare che ogni membro del Corpo mistico deve avere la propria struttura e fisionomia per compiere la sua missione nel mondo. Quante volte nelle estasi, Gesù si lamenta con Alexandrina di questi errori fatti da chi dirige le anime.

Noi pensiamo che tra le altre cose belle e utili che Alexandrina porta al mondo, vi sia questo messaggio ai direttori di anime. Ne riportiamo qualche stralcio. Gesù lamenta qualche volta l’ignoranza  di certi sacerdoti riguardo a ciò che è la sua vita nelle anime e quasi vorrebbe che costoro non si mettessero a coltivarle: “Che incanti, che lezioni dai al mondo, studino i saggi, studino quelli che comprendono la mia vita nelle anime. Lontano, lontano coloro che nulla comprendono, che non vogliono comprendere quello che è mio” (7.11.44). Questa mancanza di conoscenza del divino nelle anime è offesa di Dio: ”In te impareranno a conoscere come io mi comunico alle anime, non sanno, non studiano e con ciò fanno soffrire tanto il mio Divin Cuore” (15.12.44).

Se lo studio - prosegue Don Umberto- è una condizione base per comprendere la vita di Cristo nelle anime, la luce dello Spirito santo deve però accompagnarlo. Il 3 agosto 1945 Gesù dice ad Alexandrina che l’opera sua nelle anime è compresa quando allo studio si aggiunge la luce dello Spirito santo che si riceve se si è ben disposti. Oltre che dell’ignoranza e dellamancanza dell’amor di Dio in coloro che dirigono anime, il Signore si lamenta un giorno, con Alexandrina, del numero troppo esiguo dei direttori che siano all’altezza della loro missione. Agli inetti Gesù attribuisce grandi responsabilità fra cui la mancanzadi santità nel mondo, e il pericolo di perdizione dell’umanità intera.

“Sono lontani, molto lontani, gli uomini dal comprendere la mia vita divina nelle anime. Che grande dolore per il mio Cuore! Di qui il motivo per cui è così piccolo il numero delle anime riparatrici, di quelle che arrivano alla santità, alle altezze della perfezione. E’così grande il numero delle chiamate e così piccolo il numero di quelle che perseverano e sono fedeli alla mia chiamata. E sai perché? Sono così pochi i miei discepoli che comprendono questa vita divina e che sanno guidare le anime e sostenerle fino a che arrivino a me!. Ad alcune tagliano le radici, le gettano a terra, e quante volte esse arrivano a grandi cadute! Altre vengono condannate dal Direttore, dicendo loro che è falso ciò che è reale, che è umano ciò che è divino. Vedi mia sposa, vedi amata del mio divin Cuore, vedi la ferita che tutto questo mi causa. Come potranno essere salvi i peccatori, come potrà salvarsi l’umanità?

“Sono tante le anime che ritornano indietro, le dice Gesù il giorno 15-10-44. Molte subito fin dal principio, molte non arrivano a metà del loro cammino. Vogliono tutto e non mi danno nulla. Vogliono riparare senza immolazione e sacrificio.

Se tutti i maestri e saggi della santa Chiesa comprendessero seriamente, profondamente, la mia vita divina nelle anime, sarei amato molto di più, molto di più sarei riparato”.

Il richiamo insistente di Gesù di sforzarsi (15.10.44) per comprendere sempre più e sempre meglio “la sua vita nelle anime”, mira a che ci si ispiri al Modello, onde plasmare su di esso gli altri, mira a non impedire che le anime si ispirino a Lui, e a non dare loro del nostro, rendendo artificiale la vita, a non appesantirle con luci personali che paiono buone, ma che partono dalla terra e non dal Cristo.

Queste esigenze, per svolgere nelle anime la missione di guide, prima di essere argomento di profonda riflessione per tutti i sacerdoti, lo furono per coloro che vissero a contatto con Alexandrina.”[14]

2.8 Alexandrina intercede per i direttori spirituali

“A conforto e lezione per i sacerdoti che devono dirigere le anime, non vogliamo tacere questo particolare che li interessa, vale a dire che essi furono presenti, tanto presenti, nelle sofferenze più dolorose e preziose di Alexandrina. Ecco la magnifica rivelazione avuta nell’estasi del 23 marzo 1940: “Dimmi figlia mia, per chi mi offri queste ultime sofferenze della tua vita?”

“Per quello che è nella vostra volontà, mio Gesù, è solo questo che io voglio”, rispose Alexandrina.

“Mia amata, voglio che tu mi offra una parte di quelle sofferenze per i Sacerdoti, affinché quelli che posseggono la luce divina e comprendono la mia vita nelle anime, la posseggano sempre di più e non abbiano altra vita che la mia; per coloro che non la comprendono, affinché la studino, perché non studiandola e non comprendendola, non tentino di spegnere ed estinguere quella stessa vita; e per tutti quelli che mi offendono gravemente. L’altra parte è per il mondo intero, perché tutto ti appartiene, te l’ho affidato! Puoi chiedermi tutto ciò che vuoi e per tutti.

Continuerai in cielo, con tutto il potere, ad elargire tante grazie e continuerai la tua missione. Vai, mia piccola,  a scrivere tutto per tutto hai la luce dello Spirito santo”[15].

Per conoscere Alexandrina

AMORTH GABRIELE, Dietro un sorriso. La Beata Alexandrina Maria da Costa, Elledici, Leumann-Torino, 2006, pp. 144.

CAMERONI PIER LUIGI, Sui passi di Alexandrina, Elledici, Leumann-Torino, 2006, pp. 94.

CAMERONI PIER LUIGI - SCRIMIERI MARIA RITA, Adoratori di Gesù con Alexandrina, Elledici, Leumann-Torino, 2005, pp. 48.

SCRIMIERI MARIA RITA, Il sorriso nella croce. Via Crucis meditata con Alexandrina M. da Costa, Ed. extracommerciale, Scuola Grafica Salesiana, Milano, 2002, pp. 39.

SCRIMIERI MARIA RITA, «...Come l’ape, di fiore in fiore...». L’opera di amore e di riparazione a Gesù Eucaristico, Elledici, Leumann-Torino, 1999, pp. 109.

SESSA PIERO - GIACOMETTI GIULIO - SIGNORILE EUGENIA, La gloria dell’uomo dei dolori nel sorriso di Alexandrina, Segno, Udine, 2005, pp. 425.

SIGNORILE EUGENIA E CHIAFFREDO

– Maria, Madre mia, Mimep-Docete, Pessano, 1987, pp. 128.

– Un essere umano che soffrì, una vita divina che vinse, Editrice Nazareth, Milano, 1989.

– Figlia del dolore e madre di amore. Quasi una autobiografia, Mimep-Docete, Pessano, 1990,

pp. 768.

– Anima pura, Cuore di fuoco, Mimep-Docete, Pessano, 1990, pp. 48

– «Venite a me...» (Richiami di Gesù), Mimep- Docete, Pessano, 1991, pp. 64.

– Mio Signore, mio Dio! Come pregava Alessandrina, Mimep-Docete, Pessano, 1997, pp. 270.

– Sofferenza amata. La Passione di Gesù in Alessandrina, Mimep-Docete, Pessano, 1999, pp. 160.

– Croce e sorriso, Mimep-Docete, Pessano, 2000, pp. 47.

– «Ho sete di voi», Mimep-Docete, Pessano, 2004, pp. 101.

– Sulle ali del dolore, Ed. Gamba, Verdello, 2004, pp. 70.

– «Alexandrina, voglio imparare da Te!», Ed. Gamba, Verdello, 2004, pp. 116. 

 FONTE: Spiritualità Giovanile Salesiana – Santità Salesian – Autore :  Don Pier Luigi Cameroni.


[1] Rielaborazione di un contributo di Maria Rita Scrimieri svolto il 7 ottobre 2006 a Torino Valdocco.
[2] A distanza di tanti anni, nei mesi scorsi ci è giunta la bellissima e consolante notizia che i Gesuiti di Braga, stanno preparando la documentazione necessaria per chiedere che venga aperta la causa di beatificazione anche di P. Pinho, peraltro preannunciata dal Signore ad Alexandrina,  come si legge nel suo Diario.
[3] Il monello di Dio Don Umberto M.Pasquale  LDC 2006.
[4] Don U.M. Pasquale Alexandrina.
[5] No Calvario de Balasar pag.194.
[6] E.C. Signorile Figlia del dolore, madre dell’amore Ed.Mimep-Docete.
[7] Don U.M.Pasquale Alexandrina  LDC 1957.
[8] Don U.M. Pasquale Cristo Gesù in Alexandrina Ediz.Extracommerciale.
[9] Idem.
[10] Don U.M. Pasquale Alexandrina LDC 1957.
[11] Dalle Lettere inedite di Alexandrina a Don Umberto M. Pasquale.
[12] Don U.M. Pasquale Alexandrina LDC.
[13] Don U.M. Pasquale Cristo Gesù in Alexandrina Ed. Extracomm.
[14] Don U.M. Pasquale Alexandrina LDC.
[15] Don U.M. Pasquale Alexandrina LDC 1957

Così avvenne che dall’8 settembre 1944, nella festa della natività di Maria, Alexandrina fu diretta da Don Pasquale. In quello stesso giorno, Alexandrina dettò: “Oggi ho sentito che lei venne ad unirisi alla nostra anima. Da questo momento, se lo acconsente, lo considero il mio secondo padre spirituale, Fratello no, perché voglio di più, se me lo permette. Vedo che dopo il primo padre, è lei che mi comprende di più. Che la Mamma del Cielo, ci porti alla più alta santità, portando con noi quanti ci sono cari, ed anche il mondo intero, se ci fosse possibile”.

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