Il tema che mi è
stato affidato per questa breve relazione è quello di delineare il ruolo svolto
da don Umberto M.
Pasquale
nella Causa di Beatificazione e di Canonizzazione di Alessandrina M. da Costa,
la cooperatrice salesiana nota come “la veggente di Balasar” (Portogallo),
vissuta tra il 1904 e il 1955, e beatificata da Giovanni Paolo II il 25 aprile
2004.
Ai fini che ci
proponiamo, è essenziale riepilogare la cronologia esatta della Causa.
Il Processo
ordinario informativo diocesano sull’eroicità della vita e delle virtù, nonché
sulla fama di santità di Alessandrina, si svolse a Braga dal 14 gennaio 1967 al
10 aprile 1973. La fase successiva (romana) del Processo si concluse il 21
dicembre 1995, data in cui venne letto alla presenza del Papa Giovanni Paolo II
il decreto che definiva l’eroicità delle virtù, e di conseguenza la venerabilità
di Alessandrina.
Il successivo
Processo sul miracolo - che avrebbe condotto Alessandrina alla beatificazione -
si svolse ancora nell’Arcidiocesi di Braga nel 2002, e si concluse a Roma
nell’anno successivo.
Da parte nostra, ci
riferiremo soltanto agli anni tra il 1964 (quando iniziarono le indagini previe,
in vista dell’apertura del Processo informativo diocesano) e il 1973, quando
venne concluso tale Processo. Se è vero infatti che tutta la vita di don Umberto
- dopo il suo primo incontro con Alessandrina, avvenuto il 21 giugno 1944 - fu
decisiva nello sviluppo della Causa, è altrettanto vero che soltanto nelle prime
sue fasi egli rivestì un ruolo ufficiale, e precisamente nelle indagini
previe (1964-1967) e, almeno in parte, nel Processo ordinario informativo
diocesano (1967-1973).
E’ da notare in
ogni caso che fin dall’autunno del 1948 don Pasquale era già definitivamente
rientrato a Torino, per ordine di don Pietro Berruti, Prefetto Generale della
Congregazione Salesiana. Di conseguenza, bisogna riconoscere che qualunque
apporto di don Pasquale sia alle indagini previe sia al Processo informativo
diocesano - per quanto possa essere stato significativo - rimase sempre
frammentato, almeno per quanto riguarda la sua presenza diretta sul luogo del
Processo.
Conviene dichiarare
ancora le fonti di questa breve ricerca.
Oltre all’Archivio
della Postulazione Generale dei Salesiani, attingo per via indiretta a una fonte
che considero per alcuni aspetti privilegiata.
Si tratta di una
sorta di Memoriale autografo, scritto da don Umberto nei mesi
immediatamente precedenti al 1984. Esso si compone di 140 fitte cartelle
dattiloscritte, quasi sempre travagliate, anche abbondantemente a volte,
casualmente invase da scrittura anche nel verso. Ad esse don Pasquale unì
quattro fogli di “aggiunte” manoscritte. Al fondo, gli originali sono datati:
“Leumann, 1.1.1984, festa della Madre di Dio”, e recano, quasi a conferma della
veridicità del loro contenuto, la firma.
Suddivido in due
parti la mia esposizione.
Nella prima parte
descriverò il ruolo svolto da don Umberto nelle indagini previe, e nella
seconda mi riferirò agli anni del Processo ordinario informativo
nell’Arcidiocesi di Braga.
1. Le indagini
previe (1964-1967)
Nel 1964, avendo
saputo che l’Arcivescovo di Braga intendeva aprire il Processo, don Umberto si
preoccupò subito di inviare da Torino indicazioni precise circa la procedura da
seguire.
Da parte sua,
l’Arcivescovo si orientò immediatamente sulla scelta di un Salesiano come
Postulatore della Causa. Ci furono diversi tentativi di nomina, tra i quali
quello di don Giuseppe Abbà, ma alla fine vennero nominati Postulatore don
Umberto Pasquale, e vice Postulatore don Ettore Calovi. Per questa incombenza
verso la metà del 1965 don Umberto fu autorizzato dai Superiori a trasferirsi
temporaneamente nell’Ispettoria del Portogallo, dove rimase per alcuni mesi,
fino a novembre dello stesso anno.
L’azione di don
Umberto durante le indagini previe si esercitò specialmente su tre fronti:
anzitutto la raccolta delle
testimonianze,
poi la confutazione dei pareri della cosiddetta “Commissione dei teologi di
Braga del 1944”, infine la definizione del celebre episodio del “lancio nel
vuoto”, in seguito al quale Alessandrina contrasse la terribile lesione alla
spina dorsale, che l’avrebbe costretta all’immobilità per oltre trent’anni.
La raccolta delle
testimonianze sulle virtù di Alessandrina diede luogo a 540 fitte pagine
dattiloscritte, che alla fine don Umberto presentò all’Arcivescovo di Braga con
queste parole: “Eccole il volume; qui la santità si tocca con mano...”.
Tale volume,
conservato nell’Archivio della Postulazione, venne a suo tempo allegato agli
Atti processuali.
Il secondo
importante lavoro di don Pasquale si riferiva ai pareri formulati dalla
Commissione teologica di Braga. Essi erano condensati in sedici pagine
fortemente avverse ad Alessandrina, che di fatto provo-carono la condanna e le
diffide da parte dell’Arcivescovo allora in carica, e colpirono in maniera molto
dolorosa la veggente, la sua famiglia e i suoi amici.
Evidentemente le
accuse ivi contenute dovevano essere attenta-mente vagliate e, se possibile,
confutate. Don Pasquale le analizzò con pazienza, e poté agevolmente convincersi
dell’inconsistenza assoluta di ognuna di esse. Riporto un solo esempio, relativo
al digiuno perfetto dal cibo e dall’acqua, che Alessandrina conservò
ininterrottamente per 13 anni, dal 1942 fino alla morte. Secondo don Umberto, il
cumulo di obiezioni dinanzi a questo fatto era stato elaborato dai teologi per
dimostrare una tesi preconcetta, e cioè che il digiuno perfetto e l’anuria di
Alessandrina non erano di origine straordinaria, ma erano dovuti a qualche
anomalia psicofisica ancora ignota alla scienza. Don Umberto fece osservare al
riguardo che di per sé il giudizio su tale fatto non era di competenza dei
teologi, e in realtà egli stesso si astenne dal pronunciarsi. Tuttavia, in
appendice alle sue osservazioni e in caratteri molto minuti, allegò le diagnosi
redatte dai medici, alcuni di chiara fama, nelle quali il caso era
esaurientemente trattato, e giudicato scientificamente inspiegabile.
Infine, un episodio
rilevante ai fini della Causa, e dunque da accertare con sicurezza, era quello
del famoso salto di quattro metri, con cui Alessandrina riuscì a salvarsi da tre
loschi figuri, penetrati furtivamente in casa per attentare alla sua virtù.
Nascondendo in una borsa capace un registratore in funzione, don Pasquale andò a
trovare Lino Ferreira, uno dei tre protagonisti della fosca vicenda. Usò tutte
le arti per indurlo a confessare, e in cento modi costui cercò di non
compromettersi. Alla fine, scusandosi di quello che secondo lui era stato uno
scherzo, ammise il fatto, che per Alessandrina ebbe come conseguenza la paralisi
totale. Cercando di attenuare la propria responsabilità, aggiunse che l’episodio
era capitato in tempo di carnevale, quando “ogni scherzo vale”. In realtà, esso
capitò invece alla vigilia di Pasqua.
Ho riportato solo
alcuni esempi del complesso e multiforme lavoro svolto da don Umberto nelle
indagini preliminari. Egli andava raccogliendo così una documentazione sicura,
per impostare saldamente il Processo.
2. Il Processo
ordinario informativo nell’Arcidiocesi di Braga
(1967-1973)
Il 14 gennaio 1967
l’Arcivescovo di Braga inaugurava solennemente il Processo diocesano
sull’eroicità della vita e delle virtù, nonché sulla fama di santità di
Alessandrina M. da Costa. Le relative sessioni si sarebbero prolungate per più
di sei anni. Finalmente il 27 aprile 1973 gli Atti processuali vennero
consegnati a Roma alla Congregazione per le Cause dei Santi.
Durante il Processo
vennero ascoltati 48 testimoni, tra i quali un “teste chiave” fu lo stesso don
Umberto. Risulta dal suo Memoriale che nel maggio-giugno del 1969 egli
era a Braga, nuovamente convocato dal Tribunale ecclesiastico.
In quell’occasione,
don Pasquale assicura di essere stato addirittura “spremuto” per due o tre ore
al giorno, e che talvolta gli veniva da piangere durante i duri interrogatori...
Le sue deposizioni sono poi confluite nel Summarium della Positio,
dove il R(everendus) D(ominus) Humbertus Pasquale è citato come
ventiseiesimo teste, e giunge ad occupare, da solo, ben 67 pagine!
Fu forse per questo
motivo — che certamente dovette suscitare seri problemi di compatibilità con il
ruolo del Postulatore —, oltreché per l’ordinaria dimora di don Pasquale a
Torino, che durante il Processo diocesano, per lo meno nelle sue ultime fasi, il
Postulatore della Causa non era più don Pasquale, bensì don Ettore Calovi.
Ma già il 13 aprile
1973, cioè tre giorni dopo la conclusione del Processo diocesano, l’Arcivescovo
di Braga nominava Postulatore di Alessandrina don Carlo Orlando, al momento
Postulatore Generale, a Roma, della Società Salesiana.
Il lavoro compiuto
in quei sei anni, nei quali - al di là del ruolo svolto - don Pasquale continuò
a offrire un contributo decisivo alla Causa, fu davvero ingente. Le deposizioni
dei 48 testimoni colmarono 1200 pagine; furono accuratamente dattilografate a un
solo spazio le 2138 pagine del Diario e degli scritti autobiografici di
Alessandrina, e infine le 1757 pagine del suo Epistolario.
Don Umberto
partecipò a Braga alla sessione conclusiva del Processo, il 10 aprile del 1973.
Prima di rientrare in Italia, si fermò a Lisbona a salutare il Cardinale
Patriarca. Della sua presenza in città venne informato il Nunzio apostolico, che
lo pregò di passare da lui, prima di avviarsi all’aeroporto: gli avrebbe
affidato le due casse sigillate, contenenti la documentazione del Processo
appena concluso, da portare in Vaticano come “valigia diplomatica”.
Don Umberto prese
in consegna il prezioso carico e venne accompagnato all’aeroporto dal segretario
della Nunziatura.
***
“Finezze della
Provvidenza!”, commenta a questo riguardo don Umberto nel suo Memoriale.
In effetti,
l’estrema consegna degli Atti processuali a don Pasquale assumeva il valore di
un “segno”: in qualche modo, egli veniva riconosciuto come l’autentico
depositario della Causa di Beatificazione e di Canonizzazione di Alessandrina
Maria da Costa.
don Enrico dal
Covolo
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