PROFILO BIOGRAFICO
DI DON UMBERTO PASQUALE

Premessa
La mia non vuol essere una commemorazione di don Umberto e nemmeno il tentativo
di tracciare le linee della sua vicenda
umana, come, peraltro, suggerisce il
titolo del mio intervento. Su questi punti oggi non mancano degli strumenti; ne
indico solo due:
• la bella «lettera mortuaria», scritta dalla comunità di
Leumann qualche tempo dopo la morte di don Umberto e mandata a tutte le case
della Congregazione salesiana;
• una veloce, ma efficace, sintesi dell’avventura umana di don
Umberto la si può leggere nel piccolo pieghevole distribuito stamattina a tutti
i partecipanti della giornata;
• ed ora una biografia nuova fiammante, ancora odorosa di
stampa, anzi una «autobiografia» che riporta tantissimi ricordi inediti
specialmente dell’infanzia del piccolo Umberto e tante notizie riguardanti in
modo particolare quelle legate alla sua permanenza in Portogallo.
Una copia dattiloscritta di questa autobiografia mi era stata consegnata,
qualche giorno dopo la morte di don Umberto, da un suo caro amico, don Pietro
Ceresa, ideatore e fondatore di un interessante museo mariano che è ospitato nei
sotterranei della basilica di Maria Ausiliatrice qui a Valdocco. Ci era venuta
l’idea di pubblicarla, ma essendo io, allora, al termine del mio mandato come
direttore del Centro Catechistico Salesiano e della Elledici, ho pensato che non
avrei potuto arrivare in tempo per la pubblicazione, per cui ho lasciato cadere
la cosa, rimandandola a un tempo più opportuno… E questo tempo è arrivato,
soprattutto per il fattivo ed efficace interessamento di Maria Rita Scrimieri,
di Don Luigi Cameroni e di tanti «amici» di don Pasquale e devoti della Beata
Alexandrina da Costa, di cui don Umberto fu non solo il direttore spirituale, ma
anche colui che più di tutti ne ha mandato avanti la causa di Beatificazione.
Alcuni ricordi personali
Non ripeterò i dati della biografia e nemmeno voglio presentarne una sintesi;
vorrei, invece, lasciarmi prendere dai ricordi che affiorano alla mia memoria
relativamente ai circa 20 anni di consuetudine di vita con lui durante la sua
permanenza nella comunità salesiana del Centro e della Editrice, e di lavoro
insieme nel servizio catechistico che costituisce la missione della nostra
opera. Ero tentato, naturalmente, di percorrere nell’intervento almeno gli
episodi più salienti e significativi delle tappe della sua vita, anche perché è
piena di episodi interessanti e gustosi: la vita di don Umberto è stata infatti
movimentata e piena di sorprese:
•
a undici anni entra come «piccolo operaio» nel «Cotonificio Italiano» di
Vignole, dove lavorava anche il padre;
• due anni
più tardi lo troviamo a Valdocco dove visse alcuni anni che impressero una
impronta indelebile nella sua esperienza di ragazzino e lasciarono
un’invincibile nostalgia che lo accompagnò per tutta la giovinezza;
•
richiamato dal padre a Vignole, entra in Seminario a Stazzano, nella diocesi di
Tortona per studiare e prepararsi e diventare sacerdote;
• ma il
suo cuore era a Valdocco e sognava la vita salesiana…; durante la teologia
«fugge» letteralmente dal seminario e comincia una lunga peregrinazione che,
passando attraverso anche a delusioni e disavventure, lo porta finalmente a
coronare il suo sogno ed entrare nel noviziato. E a questo punto inizia un altro
capitolo importante e decisivo della vicenda di don Umberto.
In questa prima parte del mio intervento parlerò del tempo nel quale don Umberto
lavorò presso il Centro Catechistico Salesiano di Leumann, anche perché nella
sua autobiografia l’attenzione è quasi esclusivamente portata sul periodo
dell’infanzia e della sua permanenza in Portogallo.
Comincio con alcuni ricordi personali, specialmente quelli legati alle mie prime
esperienze presso il Centro Catechistico Salesiano di Leumann. Io, allora, ero
un giovanissimo prete, appena licenziato in teologia e dirottato verso la
catechesi, dopo che diversi confratelli di Leumann, per tanti motivi, erano
sciamati in altre opere della Congregazione, specialmente verso l’Istituto di
Catechetica della Pontificia Università Salesiana di Roma. Non ero solo
giovanissimo, ma inesperto e totalmente sprovveduto di fronte al compito che mi
veniva affidato dall’obbedienza: curare, cioè, per la rivista «Catechesi» e per
l’Editrice Elledici, la catechesi e la pastorale dei preadolescenti… Proprio in
questo settore ho avuto modo di confrontarmi con don Umberto che, a sua volta,
aveva il compito di seguire per il Centro e l’Editrice la catechesi della scuola
dell’infanzia o scuola materna, come si diceva allora.
è stata per me una collaborazione
molto utile che mi ha aiutato ad entrare nel mio lavoro e mi ha permesso di
conoscere, in don Umberto, una persona intelligente, competente, preparata,
preoccupata dei problemi concreti, capace di cogliere gli aspetti educativi e
pastorali, attento a quanto accadeva attorno a lui, in un mondo in movimento, e
curioso di conoscere quanto veniva scritto e pubblicato, anche all’estero, sui
temi dei quali scriveva sulla rivista e di cui preparava sussidi per l’Editrice.
Ma la cosa che subito mi ha colpito è stata la sua reazione, quando, dopo circa
un mese che mi trovavo al Centro, fu pubblicato un fascicolo che io avevo
preparato per la rivista Catechesi, che era come la mia prima «uscita pubblica»…
Venne nel mio ufficio a congratularsi per il lavoro fatto e per dirmi:
«Lavoreremo bene insieme»; quelle parole, dette con la bonomia e semplicità e
uscite dalla bocca di una persona che io stimavo, mi diedero tanta gioia e mi
incoraggiarono a proseguire nel mio lavoro. Aggiunse, forse per farmi coraggio e
per farmi sentire a mio agio, queste parole: «Io sono stato tanti anni in
Portogallo e spesso mi scappano parole ed espressioni non del tutto corrette in
italiano; Le sarò grato se mi rileggerà e mi correggerà gli articoli prima della
pubblicazione». Io, ingenuamente accettai, a patto però che da parte sua
rileggesse i miei articoli e mi facesse gli opportuni suggerimenti. Ho capito,
in quell’occasione che, spesso più dei consigli e delle raccomandazioni, sono
utili ed efficaci gli incoraggiamenti ed anche eventuali apprezzamenti se non
proprio…lodi.
In un’altra occasione ho ammirato da una parte la sua umiltà e dall’altra la sua
capacità di dar fiducia ai giovani confratelli che iniziavano, magari senza
grande preparazione, il difficile lavoro dell’animatore di catechesi e dello
scrittore di temi pastorali. Eravamo nel tempo fra il Natale e il Capodanno del
1967. La direzione della Editrice aveva deciso di preparare un corso di
catechesi per i fanciulli dai sei agli undici anni che aggiornasse alle esigenze
della nuova pastorale del Concilio i vecchi testi in uso nel recente passato. Ci
siamo radunati per stabilire le linee essenziali dei nuovi sussidi (si trattava
di un impresa piuttosto impegnativa: 5 testi didattici per i ragazzi e 5 guide
per i catechisti, accompagnati da quaderni attivi e da una serie di 40
filmine…). Volevamo accordarci per stabilire i criteri generali della
pubblicazione, i tempi di consegna e per programmare il lavoro suddividendoci i
compiti, al fine di arrivare ad aver pronto tutto il materiale entro l’inizio
dell’anno scolastico successivo. Ognuno di noi avrebbe dovuto presentare, entro
una data stabilita, il testo per uno dei 5 anni del corso. Io mi sono messo
subito al lavoro e chiesi a don Umberto di rivedere, a mano a mano che terminavo
una Unità Didattica, il risultato della mia fatica chiedendogli di aggiungere i
sussidi audiovisi che le notissime «Filmine Don Bosco» avevano prodotto a
riguardo dei temi in questione e che io non conoscevo ancora a sufficienza… Dopo
qualche giorno don Umberto mi portò il lavoro rivisto e completato,
congratulandosi ancora una volta con me per il lavoro fatto. Ma aggiunse una
cosa che mi meravigliò molto e che mi fece ammirare la sua umiltà. Mi disse: «Ho
letto con attenzione il suo lavoro ed ho fatto le osservazioni e le aggiunte che
mi ha chiesto. Ma leggendolo mi sono persuaso di una cosa: io ho fatto i miei
studi tanti anni fa; mi rendo conto che la mia teologia è invecchiata,
specialmente dopo il Concilio; voi, giovani, invece, siete freschi di studi,
avete vissuto negli anni del Concilio e lo avete assimilato… Le chiedo, perciò,
voler scrivere anche il testo che toccherebbe fare a me; Le darò tutta
l’assistenza e quando ci saranno dei problemi e dei dubbi li risolveremo
insieme…».
Io ho cercato di sottrarmi da quella proposta, soprattutto perché ero persuaso
che certamente don Umberto avrebbe fatto molto meglio, ma alla fine di fronte
alle sue insistenze, ingenuamente, ho accettato. Ma devo dire che, da parte mia,
è aumentata di molto la stima per don Umberto: non solo per la sua umiltà, ma
soprattutto per il suo atteggiamento verso le «novità» che si facevano avanti
nella pastorale della Chiesa in quegli anni. Non era attaccato al passato, come
alcuni sacerdoti della sua generazione; si rendeva conto che le cose erano
cambiate e che bisognava cambiare il modo di presentare la fede, attenti e
fedeli alla integrità dei contenuti e dei valori perenni, ma usando un
linguaggio nuovo, adatto alle situazioni inedite che si venivano profilando. Ma
devo aggiungere che don Umberto non si è ritirato dal suo abituale impegno ma ha
investito il suo tempo nello studio delle nuove linee della pastorale
postconciliare ed ha continuato ancora per anni a portare avanti con molta
competenza il suo lavoro nella Editrice e nel Centro
Una
persona creativa e piena di iniziative
Nelle frequenti conversazioni che ho avuto modo di fare con lui, specialmente
durante la lunga malattia (e, poi, nella lettura del suo «memoriale») ho avuto
modo di apprezzare anche un’altra caratteristica della sua personalità: e, cioè,
le grandi doti di iniziativa nel bene, la sua inesauribile creatività pastorale
e la straordinaria capacità di convincere e di portare alle sue convinzioni
tante persone perché lo aiutassero nella realizzazione delle sue iniziative. In
questo era favorito da una innata capacità di entrare immediatamente in
comunicazione con le persone che incontrava e di attirare simpatia.
La sua innata capacità di iniziative di bene si manifesta fin dalla sua
giovinezza. Dopo aver passato due anni felici a Valdocco in casa salesiana
dovette, come abbiamo ricordato, ritornare per volontà del padre a Vignole, il
suo paese natale, e di lì entrare nel Seminario, per proseguire gli studi e
diventare sacerdote diocesano. Ben presto i suoi superiori si resero conto delle
sue doti e gli affidarono l’assistenza e l’animazione dei giovani seminaristi e
gli permisero di compiere attività apostoliche nelle parrocchie della Diocesi.
In questo periodo si manifestò la sua creatività e la sua inventiva apostolica:
fondò l’Azione Cattolica dei ragazzi che continuò a promuovere anche quando,
molto presto, incontrò l’opposizione delle autorità fasciste perché portava via
i ragazzi dalle organizzazioni di partito; aprì oratori volanti per i ragazzi di
paese abbandonati e lasciati a se stessi, curando e aiutando specialmente i più
poveri verso i quali ebbe una preferenza lungo tutto il corso della vita;
introdusse nel seminario la tradizione del teatro salesiano che aveva vissuto a
Valdocco; si fece diffusore della stampa cattolica e promotore dei primi sussidi
audiovisi per attirare i ragazzi… Nei primi anni del suo primo apostolato in
Portogallo, poi, introdusse e fondò una delle prime sezioni della JOC (Gioventù
Operaia Cattolica) da poco fondata in Belgio e in Francia dal padre Cardijn,
divenuto in seguito Cardinale.
Nelle diverse opere e case salesiane presso le quali i Superiori lo mandarono a
lavorare non si è mai limitato a portare avanti i lavori e gli apostolati che
facevano parte della tradizione e dell’impegno quotidiano delle medesime; si è
sempre guardato intorno e si è lasciato interpellare dalle urgenze a dai bisogni
che scorgeva nell’ambiente in cui operava l’opera salesiana. Questo sguardo
aperto al mondo lo ebbe fin da quando era seminarista; ma divenne ancora più
attento quando iniziò a lavorare in Portogallo, un paese in cui la povertà e le
disuguaglianze sociali erano molto evidenti. E non temette e non si tirò
indietro quando, molto spesso, le sue iniziative pestavano i piedi a chi da
queste situazioni traeva vantaggi economici e politici. In tutto questo non era
motivato solo da uno spontaneo e innato attivismo fine a se stesso, ma da
autentica carità cristiana, dall’ansia pastorale e apostolica e da un naturale
sentimento di compassione nei confronti dei piccoli, dei deboli e degli ultimi.
Tornano spesso, nelle pagine della sua autobiografia i momenti nei quali,
toccato profondamente da quello che vedeva attorno a sé, si rifugiava in chiesa
a piangere e a pregare…
All’insegna della fantasia pastorale e della concretezza
La sua carità, poi, e il suo zelo apostolico e pastorale erano molto concreti e
con i piedi per terra; scorrendo le pagine del volume, che avete tra le mani, si
potrà vedere come, pur essendo un apprezzato direttore di spirito, non per
questo viveva sulle nuvole, prigioniero di una cerchia elitaria di anime elette,
ma sapeva cogliere e creare le occasioni e le condizioni che dessero concretezza
alle ali della sua creatività: comperò (o più spesso si fece regalare) case e
terreni… Tra l’altro con preveggenza e santa furbizia cercava a tutti i costi
una casa a Fatima per offrire ai salesiani la possibilità di svolgere uno
speciale apostolato presso i luoghi delle apparizioni; e una buona signora gli
regalò una bella villa. Fondò opere e presenze salesiane, gettò le basi di una
casa editrice, le «Edizioni Salesiane» di Oporto, attiva e fiorente ancora oggi.
Una caratteristica della sua carità era quella di non ricercare l’esclusiva
neppure nel fare il bene; è bello costatare, per esempio, che in un impeto di
generosità mise a disposizione la villa di Fatima ai Padri della Consolata che
cercavano, a loro volta, una presenza presso i luoghi delle apparizioni; e, per
l’occasione, si ricevette una bella ramanzina dal suo Superiore, che però lo
stimava e gli voleva bene, e capì subito che tutto nasceva dal suo cuore
generoso.
Una notevole capacità di conquistare le
persone
più diverse
ai suoi progetti di bene
In tutto questo si faceva aiutare dalle persone più diverse: aveva una innata
capacità di convincere le persone a dargli una mano nelle sue imprese. Nella sua
vita furono numerosissime le signore benestanti della buona società ed anche
della nobiltà che non sapevano resistere alle richieste di quel giovane
salesiano, simpatico e pieno di iniziative, che consentiva loro di partecipare
ad opere di bene, specialmente a favore della povera gente e dei ragazzi
abbandonati. Aveva creato attorno alla sua persona e alle sue iniziative una
grande catena, o meglio, una rete di solidarietà e di autentica carità
cristiana. Questa è una caratteristica che lo accompagnò fin dall’inizio e lo
distinse per tutta la vita, e che ebbe modo di esplicitare specialmente negli
anni della sua presenza in Portogallo, di fronte a gravi problemi sociali
irrisolti, suscitando l’attenzione e l’aiuto anche della Autorità politica e
civile che apprezzava l’iniziativa di quel giovane prete italiano che non aveva
paura di tirarsi su le maniche e di sporcarsi le mani per venire incontro alle
necessità della povera gente e dei ragazzi in primo luogo. In occasione del suo
impegno per risanare e portare a livelli umanamente accettabili la popolazione
che viveva in una zona totalmente degradata, a Monsanto, fu chiamato addirittura
dal Ministro delle Finanze che lo ringraziò ufficialmente e gli diede subito una
serie di aiuti per venire incontro alle urgenze più gravi. Penso che, anche
senza ricorrere a prediche e a esortazioni particolari, tutte queste sue
attenzioni si siano riversate sui giovani salesiani che lo ebbero come maestro
di noviziato, che impararono la «carità pastorale» più dalle sue azioni e
testimonianze che dalle prediche teoriche.
Altri aspetti della vita e della missione
di don Pasquale
Naturalmente ci
sarebbero ancora tanti aspetti della vita e dell’attività di don Umberto che
meriterebbero di essere ripresi e presentati, per esempio:
•
Don Pasquale, direttore spirituale: non solo di Alessandrina (tema che
svolgerà Maria Rita Scrimieri, al termine della mattinata), ma di tante altre
anime che si rivolgevano a lui, con grande fiducia e che lui seguiva con
fedeltà, con competenza e con la preghiera. Molto spesso arrivavano alla nostra
portineria di Leumann persone inviate a lui da sacerdoti che lo conoscevano e
gli affidavano casi per i quali essi non si sentivano di prendersi il carico;
ogni settimana scriveva decine di lettere, brevi e concise, ma piene di
saggezza, di concretezza e di esperienza spirituale e mistica. Ne ho una piccola
raccolta, speditami da una signora milanese, nelle quali per trasparenza emerge
la ricchezza e la sodezza della sua direzione.
•
Don Pasquale, instancabile pescatore e suscitatore di vocazioni
sacerdotali e religiose. Anche questo sarebbe un capitolo da sviluppare, ma
rimando al volume che avete in mano dove c’è una bellissima testimonianza dello
stesso don Umberto in proposito (vedere: pp. 122 – 125).
•
Don Pasquale esorcista: nelle conversazioni avute con lui durante
l’ultima malattia, mi ha raccontato in proposito esperienze sconvolgenti,
impressionanti e sconcertanti nelle quali don Umberto ingaggiava battaglie
all’ultimo sangue per strappare al Maligno le anime che ricorrevano a lui.
•
Don Pasquale catecheta e pastoralista: è stata questa la principale
attività degli anni passati a Leumann; ne ho fatto un veloce accenno nella prima
parte della mia chiacchierata. Oltre all’impegno della rivista «Catechesi» e la
produzione di libri e sussidi catechistici, nei primi anni di Torino e di
Leumann fece numerosi viaggi in tutta Italia, specialmente nel Sud, per cicli di
conferenze, corsi per catechisti, missioni popolari, organizzazione di giornate
catechistiche diocesane, incontri con i catechisti…; senza contare un’opera che
ha prolungato e dilatato nel tempo il suo impegno catechistico (e lo continua
tuttora!) e, cioè, la fondazione delle «Edizioni Salesiane» di Oporto.
Potremmo e dovremmo
parlare ancora di don Pasquale «devoto di Maria» e grande propagatore
della sua devozione. Tanto per cominciare dovremmo dire che il titolo che don
Umberto aveva dato alle pagine della sua autobiografia era: «Maria nella mia
vita». Fin da bambino aveva attinto una tenera devozione verso la Madonna dalle
Figlie di Maria Ausiliatrice frequentando il «Convitto» di Vignole. Nella sua
vita, specialmente nelle permanenza in Portogallo, divenne un infaticabile
propagandista della devozione alla Ausiliatrice; in tutte le case dove passava
lasciò delle belle statue che faceva venire dall’Italia, introduceva la novena
dell’Ausiliatrice, ne celebrava con solennità la festa con grande concorso di
popolo… Senza contare tutto quello che don Umberto fece per la conoscenza e la
diffusione del messaggio di Fatima. Aveva per la Madonna una devozione tenera e
quasi infantile ed una fiducia assoluta nel suo aiuto; e la Madonna gli fu
vicina e gli venne incontro, qualche volta in una maniera che potremmo dire
miracolosa. Uno dei miei più vivi ricordi è quello che oggi (memoria liturgica
della «Beata Vergine Maria del Rosario) mi richiama la corona del rosario che
vedevo scorrere tra le dita di don Umberto nei lunghi momenti di solitudine
della sua ultima malattia.
Allegria salesiana e senso dell’umorismo
E vorrei concludere con un aspetto che solo apparentemente è secondario o poco
rilevante: quello dell’allegria salesiana di don Umberto e della sua
irrefrenabile voglia di scherzare.
Aveva la battuta pronta e, qualche volta, anche un po’ graffiante e sanamente
dissacratoria. Ricordo quella volta che, parlando a qualche centinaio di
religiose nel grande teatro di Valdocco, in occasione di un convegno sulla
catechesi dell’infanzia, cominciò così il suo discorso: «Brutta, Reverenda Madre
Ispettrice, brutta, Reverenda superiora…» e continuò su questo registro per
qualche minuto. Dopo il primo momento di disagio che quasi si tagliava con il
coltello una grandissima risata e un lungo applauso accolse la conclusione della
frase che diceva: «… brutta è l’espressione che qualche volta si sente anche fra
di noi: “ Non tocca a me”… Questa, diceva don Caviglia, è una “bestemmia” per i
figli e le figlie di don Bosco».
Un’altra volta, mentre si trovava a Oporto, in Portogallo, e stava pulendo e
sistemando i locali dell’oratorio festivo, gli fu annunciato che un nobile e
distinto signore si trovava in parlatorio ed aveva chiesto di parlare con lui.
Don Umberto si sistema alla belle e meglio ed entra in parlatorio; il distinto
signore gli va incontro e si presenta: «Umberto di Savoia»; don Pasquale rimane
per un istante interdetto e poi sorridendo gli risponde, dandogli la mano: «E
io, Umberto di Pasquale». Tutti e due scoppiarono in una grande risata e il
ghiaccio fu subito rotto.
In comunità aveva l’abitudine di fare amabili scherzi ai confratelli, facendo
trovare nel cassetti delle tavole in refettorio o sulla cattedra dello studio
dei confratelli, oggetti e gadget che prima li facevano sobbalzare e poi li
facevano scoppiare in sonore risate.
Ricordo uno scherzo al quale fui presente io stesso: eravamo a Potenza, ospiti
della casa «Sacro Cuore» presso l’Arcivescovado, e tenevamo un mese di
formazione per i catechisti delle comunità parrocchiali e degli oratori della
Ispettoria Salesiana Meridionale, organizzati da don Vincenzo Recchia,
professore di Latino e di Patristica all’Università statale di Bari. Una sera
eravamo di ritorno da una passeggiata ai laghi di Monticchio, stanchi ed
accaldati. Fra gli altri c’era un giovane, piuttosto sempliciotto, che offriva
il fianco allo scherzo e che non se la prendeva troppo, anzi in certo qual modo
ne era contento. Appena arrivato questo giovanotto sale subito in camera per
fare una doccia, ma don Umberto gli aveva preparato uno scherzo: aveva sistemato
sopra la porta un secchio d’acqua che si rovesciò su di lui bagnandolo dalla
testa ai piedi; piuttosto arrabbiato si cambiò, si asciugò e poi, pensando che
l’autore dello scherzo fosse stato don Pasquale andò davanti alla porta della
sua camera, bussò ed entrò deciso a dirgliene quattro…, ma don Umberto aveva
previsto la mossa ed aveva preparato un altro secchio d’acqua che si rovesciò
sul malcapitato…, il quale dopo la duplice esperienza si guardò dal prendere
altre iniziative… Uno scherzo un po’ gogliardico, ma fatto con bonomia e senza
malizia, che contribuì a creare una atmosfera di confidenza, familiarità e di
grande allegria.
Forse si può attribuire anche alla sua voglia di fare scherzi un episodio
raccontato con dovizia di particolari nel volume, ed è uno «scherzo» fatto,
questa volta, a san Giuseppe. Lo leggo dal volume alla p. 62. Don Umberto aveva
contratto un debito piuttosto pesante per sistemare la casa di Mogofores: si
trattava di una fattura di 12.000 scudi.
«Quella fattura di 12.000 scudi posta sulla mia scrivania mi tormentava la
mente, perché a quei tempi era una grossa somma.
Ebbi una ispirazione. Scesi in cappella (abitavamo ancora nella vecchia Casa) e
presi dal suo piedistallo la statua di San Giuseppe; la portai nella camera e la
misi dentro l’armadio dove, tra la naftalina, conservavamo le coperte di lana
per il periodo invernale: “Starai qui – dissi al Santo – finché non mi avrai
aiutato a pagare il grosso debito”.
Durante il pranzo, il novizio incaricato della Cappella mi si avvicinò per dirmi
che dalla Cappella era scomparsa la statua di San Giuseppe. Molto seriamente di
dissi: “La colpa è tua, perché lasci sempre la porta aperta che dà sulla strada.
Quando scriverai ai tuoi genitori, chiederai il denaro per comprare un altro San
Giuseppe”. Il novizio, Bonomelli, era originario di Bergamo.
Passarono tre giorni e una buona signora venne a portarmi una busta scusandosi
della piccola offerta. Giunto nel mio ufficio, l’aprii e, con mia meraviglia e
gioia, ne estrassi il contenuto. C’erano 15.000 scudi!
Corsi subito nel guardaroba, aprii l’armadio ed esclamai a San Giuseppe: “Ho
capito ciò che ti dà fastidio! È l’odore della naftalina! Ti riporto al tuo
posto in chiesa ma sta’ attento che non ti capiti un’altra volta!”.
Quando, dopo l’esame di coscienza, i novizi entrarono in refettorio, Bonomelli
mi corse vicino tutto raggiante: “Padre maestro, San Giuseppe è ritornato, è di
nuovo in cappella!”.
Io mi misi a
ridere… ma non dissi nulla su quanto era avvenuto, aggiunsi solo: “Ringrazialo
di cuore, perché diversamente, l’avrebbero pagato i tuoi di Bergamo!”».
San Giuseppe gli aveva pagato il debito con gli interessi! C’è un proverbio
italiano che dice: «Scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi!», ma don
Pasquale aveva una così grande confidenza con i Santi che poteva permettersi di
scherzare anche con loro.
Rifacendomi anche a questo gustoso episodio, penso che sia stata una felice
intuizione l’avere cambiato il titolo alla «autobiografia» di don Umberto da
«Maria nella mia vita», come don Umberto aveva intitolato le sue memorie…, in
«Il monello di Dio»… E penso che don Umberto non se ne avrà a male e accetterà
volentieri questo scherzo che gli abbiamo fatto.
Torino- Valdocco,
07.10.06.
Don Mario Filippi


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