Alexandrina de Balasar

SÍTIO OFICIAL - OFFICIAL SITE - SITE OFFICIEL - SITE UFFICIALE - OFFIZIELLER SITE

CAPITOLO 11

LA PASSIONE

Per quanto nella Parte I si sia presentata con ampiezza la sofferenza dovuta alla Passione, pare opportuno tracciare qui un quadro sintetico di tutta la Passione rivissuta da Alexandrina. I brani scelti sono tratti per la maggior parte dai «Sentimentos da alma», posteriori al 1942; alcuni invece da Lettere a p. Pinho, anche precedenti il 1942. lì quadro presenta questa caratteristica: in alcuni brani Alexandrina descrive o commenta; in altri parla sentendosi essa stessa Gesù, rivivendo la Passione in prima persona. Questa alternanza può fare una strana impressione al lettore; ma esprime molto bene il susseguirsi degli stati d'animo di Alexandrina, che si sente a volte spettatrice, a volte partecipe, a volte addirittura immedesimata. A proposito di questa sua partecipazione alla Passione, leggiamo quanto ha dettato all'inizio del Diario del 3 agosto 1945, venerdì:

Vado con Gesù verso il mio calvario. Vedo Gesù in me, vedo la croce: è Lui che la porta. Io sono appena un guscio d'uovo nel quale Egli si è collocato. Povero Gesù, come io Lo vedo! Curvo sotto la croce, oppresso dal suo peso, quasi con il viso a terra. Ma sono io che cado, ed è il mio corpo che soffre. Non comprendo: sono io e non sono io.

L'Orto, il Calvario, non fu sofferenza di alcune ore, ma di tutta la vita di Gesù.

O Passione di dolore e di amore di Gesù, che non sei conosciuta!

Prima della Cena.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Nella notte dal mercoledì al giovedì la mia anima piangeva già sulla città di Gerusalemme... erano lacrime infinite. Io vedevo ciò che la città era e ciò che sarebbe stata poi per me. Piangevo per quanto la attendeva e perché non approfittava dell'ora di grazia che le era data. Ieri (giovedì) la mia anima continuò a piangere. Io nascondevo il dolore, ma essa piangeva fissando l'umanità intera: penetrava in tutto e in tutti i cuori che sarebbero esistiti.

Ieri, giovedì, durante tutto il giorno non potevo distogliere il mio spirito dall'Orto. Ma una vita in me, suprema, mi soavizzava il dolore. Questa vita aveva in sé la visione ed il ricordo di essere scesa sulla Terra inviata dall'Eterno Padre: tu la volontà ferma e totale di compiere la volontà dell'Altissimo che soavizzò il dolore di questo giorno, dolore che mi pareva non essere di un giorno, ma di molti anni. Parlavo, camminavo, lavoravo con il mondo nel cuore.

Il mondo era tutto in tenebre e guerra: era un mare immenso di rivolta contro di me. Io mi sentivo presa di mira e ferita da tutti. Ma il cuore amava e amava tanto che, per togliere dalle tenebre tutti quanti mi ferivano, andavo a dare la vita.

(Alexandrina descrive)

Gesù fissava la Madre, tornava a fissare gli apostoli e in un dolore molto profondo mormorava: - Devo lasciarvi, ma non posso separarmi da voi. Io vado, ma resto: mi lega a voi il mio amore.- E i vincoli d'amore di Gesù si avvincevano sempre più al Cuore santissimo della Madre e a quello degli apostoli.

Alexandrina rivive come fosse Gesù.

Nuovo tuoco si accese nel mio cuore... Ebbi aneliti infiniti di darmi, di essere ostia per alimento e sangue per bevanda.

Avevo una fame, ma una fame dell'anima, una fame che sento non essere mia: volevo mangiare la Pasqua con tutta l’umanità, volevo possedere tutti e che tutti mi possedessero e in me si trasformassero.

La Cena.

Al calare della sera, la grande Cena dell'amore: amore che tanta ingratitudine ricevette!

Vidi Gesù sedersi a mensa con gli apostoli. Mentre si sedeva,il suo divin Cuore parlò tra - Cibo divino: la Cena del mio amore! - Tutta la sala si illuminò e tutti gli apostoli fùrono imbevuti in quell'amore che Gesù irradiava dai suoi occhi divini, dalle labbra e da tutto il suo essere: Egli era tutto amore. Solo Giuda disperato, con il demonio e il fuoco infernale in sé, non ricevette l'amore di Gesù.

Gesù era tutto amore, amore, solo amore; amore ad affrontare malvagità e ingratitudine.

Gesù, durante la lavanda dei piedi, non solo li lavava loro, ma abbassava tanto il suo Cuore divino da volerli persino baciare. Io sentivo che, col suo spirito, li baciava. Quale lezione per me! Che umiltà, quella di Gesù!

Vidi il dolce Gesù benedire il pane...

Gesù, con gli occhi fissi al Cielo, in fiamme di tuoco, prego a lungo il suo Eterno Padre.

Il Volto era infiammato in tal modo che pareva avere in Sé, più che una somiglianza nostra, soltanto la vita del Cielo: non pareva uomo, ma solo Dio: amore, solo amore.

In quel momento di amore e di miracolo senza l'uguale, sentii che il mondo era un altro: Gesù si dava a lui in alimento. Partiva per il Cielo e rimaneva col mondo. Quell'amore si estese su tutta l'umanità.

Quanto Gesù ha amato e quanto ama! Oh, i suoi desiderii che vivessimo di Lui e per Lui! Noi abbiamo ricevuto Gesù intero, ed è sempre Gesù disfatto in amore.

Mai sentii tanto al vivo la tenerezza, l'amore di Gesù verso i suoi apostoli... Tutti ricevettero la Comunione dalle sue mani, ardenti d'amore. Devo dire che anche Giuda si comunicò! Egli stava più appartato; Gesù stese la sua mano divina verso di lui, con il Cibo celeste.

Subito Giuda rimase come un condannato all'inferno, tale era la sua disperazione. E quasi subito uscì con la borsa del danaro, per andare a vendere Gesù.

Fuggì disperato a vomitare quel Cibo celeste che gli era stato dato da Gesù. E consumò il suo tradimento.

Da allora in poi, quella Cena si sarebbe riprodotta. Ma oh, che orrore! Cosa vidi mai! Tanti Giuda mangiare e bere indegnamente. Che lingue tanto sozze!...

La Madre, un po' in disparte ma presente, partecipava a tutto questo...

Tutte le persone presenti rimasero in pace e in amore.

Convivio di grande intimità! Le conversazioni miravano a dare conforto.

Discorsi di tanta sapienza e pace!

Sentii l'amore con cui Giovanni reclinò il capo sul santissimo petto di Gesù e l’amore che in quel momento Gesù gli fece sentire.

Vorrei poter far sentire a tutti i cuori cosa è l'amore di Gesù verso l'anima che Lo ama veramente. Quanto dolcemente si unirono il Cuore divino di Gesù e il cuore del discepolo amato! Gesù si consolava nel suo. discepolo e questi nel suo Maestro. Tale unione rendeva soave il dolore angoscioso di Gesù.

Verso l'Orto.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Fortificata da sforzi interiori, sforzi dell'anima, camminavo verso l'Orto. Ad ogni passo sentivo come se mi fermassi a riposare: l'anima era affaticata.

Fuggivo verso la solitudine per poter piangere in silenzio. Quante lacrime di sconfitta!... L'amore mi obbligava al dolore. A labbra mute, ad occhi chiusi, mi consegnai a tutto: andai incontro alla morte.

(Alexandrina commenta e descrive)

Che grande silenzio! Che grande insegnamento! Oh, come io posso imparare da Gesù a soffrire serena, a soffrire in silenzio, a soffrire amando!

In me sentivo Gesù che andava sempre in mezzo all'oscurità della notte, ma di tanto in tanto si voltava a fissare la città che rimaneva là in fondo. I suoi sguardi divini vedevano tutto, nonostante l'oscurità. E dal Cuore gli usciva questo dolce lamento: - Non bado alla tua ingratitudine: vado a morire per te! – Il Cuore si disfaceva dal dolore.

Gesù si inabissò nella sofferenza: raccolse nel suo Cuore divino tutta l'ingratitudine e la malvagità che lì vedeva. Quell'abisso di odio e di dolore accompagnò Gesù all'Orto. Ed Egli condusse me.

L'àgonia nell'Orto.

Nella oscurità degli ulivi, Gesù affrettò il passo: andò verso un luogo appartato a pregare. Gli apostoli si addormentarono.

Vidi gli ulivi stessi dell'Orto quasi a voler coprire Gesù con il loro fitto fogliame molto verde. Li vidi testimoni del suo patire, come se di Lui avessero compassione. Vi era il Cielo con il suo potere; vi era la Terra con la sua perversità.

O Orto pieno di agonia, o Orto pieno di tristezza!

Un Orto che è il mondo, lastricato di dure pietre: una roccia irriducibile.

Era già notte avanzata quando sentii come se qualcuno mi prendesse per mano e mi guidasse verso l'Orto. Giunta in esso, sentii che Gesù unì il suo volto divino al mio e, facendo sì che io mi prostrassi a terra con Lui, mi disse: - È ben duro questo suolo; ma duri, molto più duri sono i cuori. Aiutami a penetrare in essi: soffri con me! - (Alexandrina rivive come fosse Gesù)

La mia agonia non è solamente sul suolo dell'Orto: agonizzo in tutta l'umanità.

Quante sofferenze vede la mia anima per sé e per il corpo! Vede tutto: nulla le è occulto.

Tutte le sofferenze sono sentite in anticipo.

Ho la visione del sangue che sto per versare e allo stesso tempo dei fiori che nascono da questo sangue. Tra questi fiori si estendono siepi spinose, di spine acutissime, per la maggior parte bagnate di sangue. Vedo il frutto e vedo l'ingratitudine; vedo la gloria e vedo l'iniquità.

Mi sento l'unico vero albero del mondo che si trasforma in virgulti floridi e dà a questi vita nuova: la vita del Cielo. Ma per questo, devo affrontare tutto l'Orto, tutto il Calvario e morire sulla croce!

(Alexandrina commenta):

O mio Gesù, solo chi lo sperimenta può valutare quanto Voi avete sofferto! Quale follia d'amore, la vostra!

Gesù non andava incontro ad un Calvario di un solo giorno, ma di molti e molti secoli.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Il mondo cadde su di me: io rimasi tutta mondo e il Cielo piombò su di me con tutto il rigore della sua giustizia.

Io, tutta mondo, tutta corruzione e peccato, divenni responsabile davanti all'Eterno Padre: ero io sola a pagargli questo meguagliabile debito. Per un mondo di peccato e di corruzione, un mondo di sangue e di purificazione. Dovevo lavare tutta la Terra.

È nell'Orto che chiamai a me il mondo: me ne rivestii assumendo su di me tutta la responsabilità. E allora su di me piombò la giustizia dell'Eterno Padre.

Io ero mondo ed ero Dio: come Dio, ero vita, purezza e amore; come mondo, ero peccato, corruzione e morte.

Mi pareva di essere il Cielo e di assorbire in me tutta la Terra. Questa miscela avveniva a costo di tutto il dolore, di tutto il sacrificio, di tutto il mio sangue, della vita stessa. Che sgomento, mio Dio, che sgomento la giustizia dell' Eterno Padre sopra questa miscela: la vita divina con la vita terrena, corruzione, melma e fango!

Tutta la giustizia divina scese impetuosa: si avvolse il divino con l'umano, l'amore con l'ingratitudine. Io rimasi lì in quello schiacciamento tra la Terra e il Cielo a dare il mio sangue, a bere il calice amaro sino all'ultima goccia. È Gesù che beveva, è Gesù che versava il suo sangue divino, è Gesù che veniva schiacciato; ma si serviva del mio corpo.

(Alexandrina impersona l'umanità)

L'argilla mondiale del mio corpo fu impastata con il sangue di Gesù: si impastò il Cielo con la Terra, la purezza con la corruzione, la vita con la morte. (Alexandrina commenta)

Sentii tutto il dolore di Gesù: Egli era la luce e vedeva solo tenebre; era la vita e sentiva solo la morte. È il peccato che fu causa di tante tenebre e di tanta morte.

Era il peccato la distruzione mia e quella della natura umana di Gesù.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

L'Eterno Padre si ritraeva, pareva non esistere. Ma la sua giustizia scendeva come in nere nubi a schiacciarmi.

Il suolo dell'Orto e la giustizia divina erano per me come pietre da mulino che mi frantumavano in dolore e polvere.

Io ero il chicco di grano macinato, trasformato in farina; e questa continuava ad essere macinata e rimacinata fino a scomparire. Io ero il piccolo grappolo d'uva spremuto nel torchio. E che, dopo di aver dato tutto il succo, doveva sottostare ancora a nuovi torchi, i quali lo spremevano tutto sino all' esaurimento.

Il dolore e lo sgomento schiacciavano il cuore, lo distruggevano. L'amore lo ricomponeva di nuovo; e così ripetute volte ero schiacciata.

Il cuore amava più di quanto era ferito. L'amore vinse, l'amore resistette al sudore di sangue, alla visione della cattura, dei tribunali, della colonna e dei flagelli. (Alexandrina commenta):

Per ogni anima Gesù dava tutto il suo Cuore e lo dava tutto frantumato, trasformato in dolore e sangue! E aveva Cuore per tutte le anime e per ciascuna versava tutto il sangue e aveva sangue da versare per tutte! Ne versò tanto da invadere il mondo al punto che tutte le anime si lavarono in esso. Era un mondo di sangue e un mondo di anime tutte purificate in esso.

(Alexandrina descrive e commenta):

Nel mio cuore sentivo Gesù ripetere: - Padre, Padre, Padre! Allontana da me questo calice, se è possibile. Ma si faccia la tua volontà: voglio morire per dare la Vita. - In quei momenti Gesù aveva la bellezza di Gesù: la sua anima era in giubilo per tanto soffrire: che gioia quella di Gesù, nel dare la vita per noi!

In quella dolorosa agonia non erano le mie labbra, ma il cuore a dire: - Gesù, se è possibile, allontanate da me questa sofferenza! - Ma subito mi lanciai verso di essa a braccia aperte come se, essendo bruciata dalle fiamme, mi buttassi in un mare di frescura e di soavità, aggiungendo: - Non si faccia la mia, ma la vostra volontà. O mio Dio e mio Signore, voglio consolarvi e darvi le anime.

Vidi una strada interminabile coperta di robusti grovigli di spine: tutte quelle spine dovevano ferirmi! Il mio buon Gesù mi fece comprendere e vedere nell'anima, con una luce molto chiara, che quelle spine avrebbero ferito attraverso i tempi fino a che sarebbe esistito il mondo, non me ma il Cuore divino del mio Gesù.

Solo il Cielo comprendeva il dolore di Gesù. Dopo il Cielo, era la Mamma celeste a comprenderlo e a viverlo. Quanto si amavano Gesù e la Madre e come si vedevano l'uno attraverso l'altro! Tutta la Terra ignorava, persino i discepoli, il dolore di Cuori tanto amanti. Fa impazzire tanto dolore, tanto amore! O mio Dio, quanto male Vi ho corrisposto!

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Nella notte silenziosa, il calice della mia amarezza era offerto all'Eterno Padre mentre, incuranti, gli amati del mio cuore dormivano.

(Alexandrina descrtve e commenta):

Con Gesù pregai e sudai sangue. Con Lui in me, sentivo il suo Cuore aperto come se fosse il mio: attraverso il cuore davo passaggio a tutta l'umanità e, con Gesù, dicevo a tutti: - Io sono la Via, la Verità, la Vita. - Quanto era bello questo, in mezzo a tanto dolore!

Il sangue di Gesù irrigava la terra: vidi molti piccoli vermi bere in esso e in esso vivere; ne vidi molti altri che fliggivano via da esso senza volerlo toccare. L'agonia aumento... Quel sangue, rugiada feconda, rugiada d'amore irrorava la Terra: doveva essere, nel corso dei tempi, rugiada di vita e di salvezza per le anime.

Vidi Gesù col suo divin Cuore aperto, con sofferenza anticipata, mentre dava da bere alle anime. Alcune si allontanavano da Lui con rifiuto: disprezzavano tutto, non volevano neppure toccare il sangue di Gesù. Altre ne bevevano con freddezza e indifferenza, come se nulla fosse. Altre venivano a berlo con più amore. Altre bevevano con un amore folle e non volevano cessare di bere. Venne un'altra che le superò tutte e, con una sete insaziabile, bevve, bevve; si introdusse in Gesù attraverso la piaga del Cuore divino, si perdette in Lui, non ricomparve più.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Nelle mie mani tenevo il calice che offrivo all'Eterno Padre. Nuovi grovigli di spine vennero ad avvolgere il calice. Queste spine emettevano luce che lo illuminava e lo rendeva splendente. Ma tutta la luce e lo splendore salivano al Cielo. Solo l'anima restava nella notte oscura, silenziosa, triste.

Tra me ripetevo: «L'anima mia è triste sino a morirne.»

Venne un conforto dal Cielo. Sapevo che era del Cielo, ma sentivo come se non lo fosse.. Mi risollevò l'anima come se fosse un corpo. Era un angelo che faceva questo.

Il Calvario con la croce non scomparve. Il mondo con la sua malvagità continuò ad aggravare le sofferenze.

Rimasi più forte però, per affrontare ciò che mi aspettava.

Mentre avevo l'anima terrorizzata nella lotta con tutto il martirio, sentivo come se un canale discendesse dal Cielo e mi introducesse in sé. Quel canale aveva la vita divina. E tutta la mia vita terrena, tutto il mio essere di miserie tu trapassato da essa, come da raggi di sole splendenti e penetranti.

(Alexandnna descrive e commenta):

Gli apostoli dormivano. Giuda si avvicinava.

Gesù, pieno di dolcezza e mansuetudine, chiamò gli apostoli per il grande avvenimento: la cattura!

Lo udii esclamare: - Alzatevi, venite! È giunta l'ora. –

Mia voce di Gesù trasalirono.

Era necessario che essi venissero a vedere tanto grande amore e tanto grande ingratitudine: l'uno di fronte all' altra.

Sfinito, con le vesti inzuppate di sangue, in una profonda tristezza e quasi senza vita, Gesù attende. Vede avvicinarsi la soldataglia e il traditore.

Sento che aspetta il bacio di Giuda con la più grande ripugnanza. Che orrore, l'avvicinarsi del volto infame al Volto più bello e più santo!

Odo una voce che, con tutta dolcezza, dice a colui che si avvicina: - Amico mio, per che cosa vieni? È con un bacio che consegni il tuo Signore? Che male ti ho fatto io, se non amarti? È così che corrispondi? -E subito Giuda si fa avanti e bacia Gesù.

Bacio tanto crudele! Eppure ottiene ancora dalle labbra di Gesù, traboccanti di bontà, la dolce parola di «amico»! Oh, la dolcezza del suo Cuore divino!

Quel bacio, quella ingratitudine, quel tradimento si sarebbero ripetuti attraverso tutti i tempi.

(dice Gesù):

Chi cercate? Sono io, eccomi! -Vedo i soldati cadere a terra e odo la voce di Gesù: - Vi ho già detto che sono io. Se cercate me, eccomi qui.

I soldati avanzano per catturarlo. Pietro sguama la spada e taglia un orecchio.

Vedo l'incrociarsi delle spade, vedo le armi dei soldati. Che grande combattimento se Gesù, con i suoi sguardi divini e con la mano alzata, non sedasse e calmasse tutto!

Vedo Gesù incollare l'orecchio che ha preso nelle sue mani santissime. Al vedere questo, Pietro fligge tra la moltitudine.

Gesù ha rimediato con tanta dolcezza al male fatto da Pietro. Con la stessa 'dolcezza si consegna ai malfattori e si lascia legare. Potessi mostrare la tenerezza, la mansuetudine e l'amore di Gesù verso tutti coloro che Lo offendono! Non vi è nulla sulla Terra che si possa paragonare a Lui.

Dalla cattura alla condanna.

Gesù uscì dall'Orto circondato da molti soldati con armi e da uomini con bastoni.

Lo vidi andare tra loro, ammanettato. Mio Dio, mio Dio come io vidi maltrattato il mio Gesù!

In quel triste tragitto Gesù non parlò mai, ma il suo Cuore divino pailò sempre: era un libro eterno, il libro dell'amore. Io non lo leggevo, ma lo comprendevo. Il mio divin Maestro, in quel momento mi fece comprendere tutto, tutta la grandezza del suo amore infinito.

(Alexandrina non solo descrive e commenta, ma partecipa personalmente)

Con schemi e maltrattamenti ci accompagnarono alla presenza dei sommi sacerdoti.

Io sentivo le vesti incollate al mio corpo, per il sangue già rappreso.

(è sudato durante l'agonia nell'Orto)

Nella grande sala di Anna vidi dietro a Gesù solo uomini con armi e bastoni. Quando il malvagio diede lo schiaffo a Gesù, furono tante le sghignazzate e i battimani, come avesse fatto la più bella delle azioni!

Gesù ricevette l'affronto con estrema serenità e mansuetudine.

Come si faceva piccolo, Gesù, e come se ne stava umiliato! Anna invece, nella sua vanagloria, se ne stava impettito, vedendosi come adorato da quanti lo circondavano.

Fui condotta alla presenza di uomini severi, di cattivo carattere, seduti in trono come re.

Ancora prima che fosse elaborata la sentenza contro l’Agnello innocente, sentii quell'autorità orgogliosa stracciarsi da cima a fondo le vesti, con un furore diabolico.

Sentii tutto quell'orgoglio e quella falsa grandezza. Il Signore di tutto era, fra tutti, il più piccolo! Che confusione, la mia!

Sentii nella mia anima le umiliazioni di Gesù: il Tutto umiliarsi davanti al nulla, il Grande farsi piccolo e il piccolo, che non è nulla, farsi grande! Sentivo nel cuore che Gesù era schiacciato, coperto di umiliazioni. E i giudici, pieni di orgoglio, seduti in trono come se non avessero nessuno superiore a loro.

Vidi tanto al vivo i maltrattamenti al mio amantissimo Signore. Egli mi fece comprendere che, senza la vita divina che aveva in Sé, non avrebbe potuto essere condotto vivo al carcere. Per maggior confusione mia, compresi a fondo che io ero nel numero degli aguzzini che maltrattavano il Signore.

Sentii la mia anima andare al carcere incontro a Gesù. Lo trovai triste, nella stessa tristezza che sentivo io. Non aveva più la bellezza di Gesù: era sfiguratissimo, era già quasi un cadavere.

Tremava di freddo: aveva perso tanto sangue! Oh, come era sfinito! Mi associai al suo dolore, alla sua tristezza e, come Lui, rimasi esausta.

Stava a mani legate, per quanto in carcere!

Molto triste mi disse: - Vedi, figlia mia, non si sono accontentati di catturarmi: mi hanno lasciato pure ammanettato! Quanto è grande l'ingratitudine degli uomini!

E, sotto il peso del suo dolore infinito, aggiunse: - Figli miei, figli miei! Sono vostro Padre: mi trattate così? Sono qui in questo carcere solo per amore a voi.

Il vederlo così a mani legate, trattato come un criminale, quanto costò al mio duro cuore!

Udii la sua voce dentro al mio cuore: - Figlia mia, sono catturato, sono ammanettato per amore a te. Dico per amore a te perché ciò che feci per tutte le anime lo feci anche per te personalmente. Accompagnami nella mia santa Passione!

Con molta soavità, Gesù mi invitò a rimanere con Lui: - Rimani con me, figlia mia, catturata per amore a me, perché io, per amore a te mi lasciai catturare e ancora sono catturato (dall'amore). Sentii l'unione con Gesù.

Mi ricordai che Egli è ancora prigioniero per amore nei tabernacoli, poiché ora sulla Terra non ha altra prigione.

Sentii come se dal carcere Egli facesse un salto verso il mio cuore. Lo abbracciai e con tenerezza Gli dissi: - Sì, mio Gesù, venite nel mio cuore! Sia questo il vostro carcere, ma carcere solo di amore. Non permettete che io Vi offenda, né consenta che altri Vi offendano.

Nel carcere feci compagnia a Gesù. Il silenzio era profondo: regnavano le tenebre. Solo il dolore mormorava nel cuore.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Sentivo il dolore di Qualcuno che piangeva nell'intuire quanto io soffrivo: questo Qualcuno era amore di Madre.

Mi vennero a prendere al carcere. Fuori mi attendeva una grande moltitudine di gente. Mio Dio, quante sghignazzate udii!

Piombarono su di me gli aguzzini: che rabbia infernale, che scarica di schiaffi e di pedate!

Attraverso grandi scalinate fui subito condotta alla presenza dei giudici.

(Alexandrina riprende a descrivere)

Quanto soffrii nel sentire Gesù, grandezza senza l'uguale, essere tanto piccolo davanti a loro, essere proprio un nulla! Ed essi, i veri nulla, pieni di orgoglio e vanità, gonfiati di grandezza senza alcun potere! Si abbassò il Potente e si innalzarono nel loro orgoglio quelli che non avevano nulla. Come Gesù soffriva in silenzio!

Vidi il bracere presso il quale si scaldavano i nemici di Gesù e una donna falsa e provocatrice che fungeva da portinaia. Vi si scaldava anche S.Pietro e veniva interrogato da loro, i quali si scambiavano sguardi maliziosi.

Vidi S. Pietro mentre rinnegava Gesù, ma sentii che lo faceva solo per timore. Il gallo cantò una e un'altra volta. Egli pianse copiose lacrime: come fu grande il suo pentimento!

La mia anima accompagnò nuovamente Gesù ai tribunali.

(da Gasù a Pilato).

Il mio cuore e la mia anima percorsero con Lui le strade di tribunale in tribunale, tra il clamore di odii, calunnie, insulti e schernì. Il dolore era infinito.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Sentivo la sofferenza per il tradimento e per tutte quelle derivate da esso. Tra i maltrattamenti, il frastuono, gli schiamazzi contro di me, il cuore sentiva un amore folle, un affetto indicibile, persino per il traditore! Oh, se egli avesse voluto ritornare a questo cuore! Se avesse voluto riconciliarsi!

Fui interrogata da signori aventi autorità, pieni di superbia: convinti di poter fare tutto. Di fronte a tanta grandezza, oh, come ero piccola!

(Alexandrina descrive)

Accompagnai Gesù al palazzo di Erode con grande ripugnanza. Ebbi di fronte tutta quella malizia...

quella presunzione colma di falsità, la sua superbia e la vuota autorità.

Vidi e compresi bene tutta la malizia degli Erodi.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Davanti ad Erode mi sentii ad occhi bassi, labbra mute, ricoperta da un vecchio manto, ad udire gli schemi e la gazzarra del popolo.

Quanto dolore nell'essere trattata come pazza! Ma questa pazzia era amore, era follia d'amore per le anime.

Tornai da Pilato.

Sentii la grande, indicibile superbia di coloro che si ritenevano capi.

Fui condotta alla flagellazione.

Mi sentii inginocchiata e legata alla colonna. Una pioggia di flagelli cadde sul mio corpo e una pioggia di brandelli della mia carne e di gocce del mio sangue cadde attorno a me macchiando di sangue il suolo e coloro che mi circondavano.

Il mio corpo fu lacerato con palline di ferro, o cose simili.

Mi pareva che le spalle, le costole e il petto rimanessero scarnificati. Tutto il corpo era una ferita sanguinante.

Caddi sfinita al piede della colonna.

Sentii il grande casco di acute spine violentemente conficcato sul mio capo: qualcuno le batteva con delle verghe per farle penetrare ancora più profondamente!

Che pioggia di sangue cadde dal mio capo coronato di spine!

La corona non mi cingeva solo la fronte: non vi era parte alcuna del capo che non ne fosse ferita. I dolori erano insopportabili.

Non ci vedevo per la grande abbondanza di sangue che scorreva sul volto. Non potevo muovermi perché avevo le mie carni lacerate.

Ricoperta con vesti da re, ma per scherno, mi misero in mano una canna. Quanta barbarie contro di me! Era tanto grande il numero di coloro che si ingegnavano a inventare maggiori torture!

Mi sentii condotta da qualcuno, che mi dava la mano, alla balconata di Pilato: il capo pieno di spine, il volto coperto di sangue, tutto il corpo ferito, lacerato. Vidi e udii la grande moltitudine che ad una sola voce, senza pietà di me, gridava la mia crocifissione.

Le mie orecchie udivano scandire: «Muoia! Sia condannato! «Oh, quali urla, quelle della folla! Sentii lo scherno di alcuni che ascoltavano quella numerosa e vile plebaglia che mi voleva condannata a morte.

Ricevetti la sentenza di morte.

Vidi la croce che, poco dopo, avrei sentita sulle spalle per andare al Calvario. (Alexandrina commenta e descrive)

Una grande moltitudine di popolo aveva aspettato di vedere Gesù, come per una festa: voleva udire la sentenza; ora gioiva nell'udire la condanna a morte!

Sentii la durezza di tutti quei cuori: non si commossero nel vedere Gesù flagellato, coronato di spine e condannato a morte!

E Gesù, innocentissimo, non ebbe una parola contro quel popolo. Soffriva in silenzio. Tutto accettava, mentre il Suo Cuore divino amava ancora più follemente.

Mcuni fissavano Gesù con compassione, altri con odio. Più oltre Gli apparve la Madre; da un'altra parte la Veronica, poi ancora alcune donne.

La mia anima vide la grande montagna del Calvario e sulla cima già eretta la croce. Quella croce arrivava al Cielo: lo obbligava ad aprirsi e lo faceva risplendere.

La salita al Calvario.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Ricevetti la croce. Curvata, schiacciata dal suo peso, caddi sotto di essa nello stesso posto dove mi trovavo.

Era tale il peso che mi parve di sprofondare sotto terra.

Camminavo morta (spiritualmente) lungo la salita al Calvario. E sopra la mia morte portavo la morte di tutta l'umanità: che peso su di me!

Sulle mie spalle non portavo solo la croce: portavo il mondo intero! Lo sentivo bene.

Vedevo la moltitudine che mi accompagnava: pochi amici, quasi soltanto nemici! Gli amici si commuovevano; i nemici scaricavano staffilate sul mio corpo, senza compassione né pietà.

Tutto il mio corpo era ferito, ma il cuore amava: amava coloro che nel viaggio mi confortavano dandomi prove di amore, amava tutti coloro che mi maltrattavano e disprezzavano.

Il cuore sentiva anche le sghignazzate che venivano da lontano, date per scherno e per soddisfazione. (Alexandrina descrive):

Insieme a Gesù camminavano i due ladroni, con le proprie croci. La mia anima vide la Madre, a volto quasi coperto, camminare tutta in lacrime molto affrettatamente alla ricerca di Gesù.

Si apriva un varco tra la folla per vedere dove potesse incontrarlo. Il suo santissimo Cuore scoppiava, si dissolveva in dolore e faceva scoppiare e dissolvere in dolore quello di Gesù.

Per quanto non si vedessero, io sentivo l'unione, il dolore, l'amarezza dell'uno e dell'altro Cuore.

(Gesù invita Alexandrina, come ciascuno di noi, a seguirlo, ad imitarlo, portando la propria croce)

Davanti a me camminava Gesù con la croce sulle spalle. A volte girava indietro il suo santissimo Volto: fissava su di me i suoi sguardi pieni di tenerezza, che mi invitavano a seguirlo e a portare per Lui la mia croce.

Aveva sguardi di compassione e di profonda tristezza. Quali sguardi che tanto dolcemente invitano e attraggono a Sé le anime! Io non potevo resistere a quell'invito di Gesù; non potevo reggere a quel dolore: mi veniva da svenire.

Egli, così piccolo ed umiliato, era grande nella sua grandezza e amava infinitamente, così come infinitamente soffriva.

Abbracciai fortemente la mia croce e percorsi molta strada.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Per il carico schiacciante della croce, camminavo curva e la ferita della spalla si aggravava. Siccome andavo molto curva, sentivo e vedevo cadere dai miei occhi al suolo frequenti lacrime di sangue. Quelle lacrime uscivano dagli occhi, ma derivavano dalla sofferenza interiore causata dalle spine. Quanto acute, quanto penetranti! Che corona di spine io sentivo tanto al vivo!

Il mio corpo camminava consegnato ai malfattori. Il mio spirito andava fisso solo in Dio.

Andavo cieca nella direzione del dolore; soffrivo tutto come se non vedessi nulla, ma ci vedevo bene nella direzione dell'amore: era l'amore che mi obbligava a camminare e a vincere.

Salivo il pendio con tutti i patimenti, ma lo salivo con tutto l'amore per dare la vita.

Più forte, molto più forte della furia degli aguzzini era la forza dell'amore che mi trascinava, non badando ai brandelli di carne che restavano tra le pietre.

La sete ardente che portavo nel cuore era la forza del mio camminare.

Mi venne incontro la Mamma. Mi fissò intensamente; io fissai intensamente Lei. Si unirono i nostri cuori nel medesimo dolore. Lo scambio dei nostri sguardi fu breve: dovetti proseguire maltrattata, spintonata, strascinata.

Lo sguardo della Mamma era angosciato. Da me uscirono altri sguardi a fissarsi in Lei. Quale sguardo di dolore e di amore! Senza tempo per poterla contemplare, per causa della fretta di chi mi strascinava, mi restò il cuore legato a Lei. Io camminavo sempre. Ella pure camminava, guidata dal mio sguardo che le aveva ferito e attratto cuore e anima.

In tutto il percorso non perdetti mai l'unione con Lei. Non trascinavo soltanto la croce, ma trascinavo anche Lei, o meglio, trascinavo il suo dolore.

Mi accompagnò, lontana in apparenza, ma in realtà a me unita. I nostri cuori soffrivano in un solo cuore. Le nostre lacrime avevano la stessa amarezza, lo stesso dolore, gli stessi sentimenti. I nostri cuori si parlavano sempre.

Ad ogni passo stavo per spirare. Cadevo e sopra di me rimaneva la croce. Non per pietà ma per timore (che morisse prima di essere crocifissa) volevano qualcuno che portasse la croce. Vi fu chi continuò a portarla, non per amore ma per imposizione. Tuttavia sentii che il mio cuore gli dispensava tanto amore.

Mi fu tolta la croce, ma io sentii come se ne portassi sempre il peso.

A metà del cammino, tanto grave fu la caduta e grande la scarica di flagelli sul mio corpo!

Rimasi con un ginocchio a terra e l'altro alzato. Ad uno strattone brutale delle corde, che pareva più dell' inferno che della Terra, caddi in avanti. Le spine del capo si confissero profondamente. Il mio viso fu ferito sino a mostrare le ossa. Le labbra mi si aprirono sanguinanti e baciarono la terra nella quale mi ferivo.

Gli sguardi della mia anima si estesero sull'umanità. Quali sguardi! Quante cose le esprimevano! A quante cose la invitavano!

Camminavo silenziosa: l'anima piangeva, mentre il cuore sanguinava. La tristezza era profonda, il dolore indicibile.

Anelante di dare la vita, sentivo come se ad ogni passo facessi una scavatura nella roccia più dura: roccia che dovevo rammollire col mio sangue.

Mi venne incontro una dònna, una cara donna che aveva compassione del mio dolore (la Veronica). Con quale delicatezza e amore mi pulì il volto dal sudore, dal sangue, dalla terra! Vincoli della più stretta amicizia legavano i nostri cuori. Èindicibile ciò che vorrei dire di lei, quli lodi vorrei farle! Come vorrei che si parlasse di questo suo atto tanto eroico!

Sentii come se il mio volto e l'amore del mio cuore, che non è il mio amore, restassero impressi nella tela.

(Alexandrina descrive e commenta)

Ella strinse al cuore quella tela, come fosse il maggior tesoro; e lo era veramente!

Sentivo che quel Volto santissimo, quel ritratto senza l'uguale, sarebbe stato contemplato sino alla fine del mondo. Oh, se il mio cuore avesse la generosità del cuore di quella donna che si avvicinò a Gesù! Quanto grande fu la ricompensa che ricevette da Lui!

Gesù non le lasciò soltanto il suo Volto impresso sulla tela, ma le donò insieme, come premio, il suo Cuore santissimo infiammato d'amore. Quale gratitudine, quella di Gesù!

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Ad ogni passo cadevo. Il mio corpo era uno scheletro scarnificato, coperto di sangue. Volevo respirare e non potevo: sentivo come se mi strappassero il cuore e le viscere.

Mi seguivano alcune donne; piangevano amaramente alla vista di tanti patimenti. Camminavo e le fissavo con sguardi di compassione. Il cuore mormorava loro: - Non piangete per me, ma per voi. Piangete per le vostre colpe: sono la causa dei miei dolori.

La vita fuggiva, la cima non arrivava!

La montagna si innalzava, si innalzava: quasi arrivava al cielo! Io vedevo quell'altezza: sfinivo senza poterla salire.

Quanto più camminavo, più sfinivo e più alta, più difficile e più dolorosa vedevo la montagna.

Sfinita, non potevo fare un passo senza sentire le mie carni disfarsi, i miei nervi distruggersi.

(Alexandrina partecipa, descriva e commenta)

Gli sbocchi di sangue erano quasi continui. Lo sfinimento mi piegava a terra. Quali segreti indicibili la mia anima vedeva in tanto grandi sofferenze, in tanto doloroso viaggio e, da ultimo, sulla cima! Le nere tenebre della notte (spirituale) non impedirono che l'anima potesse sondare tutti quei segreti, segreti che solo la sapienza di un Dio può e sa rivelare.

Un amore irresistibile mi legava sempre più alla croce. L'amore superava tutti i dolori.

In quella follia d'amore si avvicinava la cima della monta-gna. Per me e per Gesù che saliva stando in me, era montagna di morte; ma stava per essere montagna di vita per l'umanità. Il dolore aumentava insieme all'amore.

Tutto il mio essere era un mare di dolore. Tutto il mio vivere era immerso nella Passione dolorosa di Cristo: tutto Lui, tutte le sue piaghe e ferite si stamparono in me, come una vera realtà. Il mio cuore, ardente di amore, continuava ad essere avvinto all'Eterno Padre: era Lui che io amavo, era per Lui che io amavo le anime.

Andavo, o mi pareva di andare, attraverso un altro mondo, superiore a questo, mentre il mio cuore qua in basso soffriva il dolore più triste e profondo.

Mi portava la forza divina: la forza umana non avrebbe resistito. Le cadute erano frequenti. La mia anima vide, più in alto di me, Gesù a braccia aperte, inchiodato sulla croce: la sua grazia Lo sollevava tanto che la croce non toccava terra. Era croce di trionfo che splendeva più del sole. E io, piccolo verme della terra, portavo la mia croce con il cuore sanguinante, con il capo coronato di spine, sotto il peso di una montagna mondiale, fatta di roccia la più dura. Camminavo.

Io dovevo unirmi a Lui.

Portavo la croce e sulla cima vedevo quella di Gesù: era un faro di luce che entrava nel mio petto a illuminare tutto. Me ne sentivo attratta. Per abbracciarla, per possederla, continuavo a camminare.

Andavo al Calvario, triste, umiliata. Sempre lo stesso verme ad aprire il cammino, senza perdere la vita del Cielo.

Rimase sfinito il corpo; rimase sfinita l'anima.

Sul mio cammino mi apparve Gesù, col suo Cuore divino, non sofferente, ma bello e pieno di gloria. Da tutto il suo corpo santissimo, ma con maggiore abbondanza dal suo costato aperto, dalla piaga del suo sacro Cuore uscivano raggi brillanti di fuoco, che venivano tutti verso di me. Gesù alzò la mano e, con un dito puntato verso il Cielo, mi disse: Cammina, che io ti aiuterò!

Sentii che Gesù mi conduceva con Sé: era Lui il viandante e il condannato; era Lui che soffriva, ma trasmetteva al mio cuore il dolore che sentiva nel suo.

Ormai vicino alla cima della montagna, sentivo Gesù morire. Non poteva più fare un passo: faceva più strada strascinato crudelmente, di quanto ne facesse coi suoi piedi. Ahi, cosa mai fece a Gesù la nostra malvagità! Egli non ci vedeva per gli occhi incollati dal sangue. E il suo santissimo corpo era gelido, prima ancora di essere sulla croce.

Alla fine del viaggio, sentii nel mio cuore che Gesù cadde. Voleva rialzarsi e non poteva: i vestiti si impigliavano; lo sfinimento non glielo permetteva. Gli aguzzini lo strascinarono con le corde per alcuni metri!

Nel mio cuore Lo vidi e Lo sentii alzare gli occhi al Cielo in atteggiamento di chiedere soccorso. I suoi occhi divini, serrati o quasi verso il mondo, erano aperti verso il suo Eterno Padre. Io sentivo che Gesù non tralasciava di fissarli in Lui, né si separava da Lui.

Si avvicinava il termine della montagna e io sentivo in me lo sfinimento di Gesù. Volevo salire e non potevo. Volevo aiutarlo ma, terra come ero, non mi era possibile. Che dolore, il mio: lasciare Gesù tanto solo!

In tutto mi associai a Lui: con Lui volevo morire, nonostante vedessi che era una morte spaventosa.

Che stanchezza mortale, al terminare la salita!

Fu tanto lungo il viaggio! Non mi parve di alcune ore, ma di anni, di molti anni.

Sulla cima.

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Sulla cima mi tolsero le corde che mi cingevano il collo e la cintola: dolori atroci! Mi erano penetrate nella carne, inzuppandosi di sangue; mentre venivano strappate, mi lasciavano sul corpo segni di grandi ferite.

Quando mi spogliarono, lo fecero con tanta furia da strapparmi brandelli di carne insieme alle vesti: dolori violenti!

Gli occhi non potevano aprirsi per il sangue, ma la vergogna mi obbligava a mantenerli più strettamente chiusi: essere spogliata in pubblico!

Furono molte le risate di scherno che echeggiarono per tutto il Calvario.

Sentii che subito la Madre voleva col suo manto coprire Gesù che era in me.

Sentii come se fossi io stessa a distendermi sul legno e a porgere le mani e i piedi per essere crocifissa: era un abbraccio eterno alla croce, all'opera di redenzione.

Costò tanto al mio cuore sentire i martelli battere sui chiodi: i colpi non andavano solo alle piaghe, venivano anche al cuore!

Inchiodata sul duro legno, fu tale il dolore che sentii da parermi che solo il dolore restasse sulla croce e il corpo scomparisse.

A braccia aperte e con gli occhi fissi al Cielo, mi offrivo al Padre come vittima e all'umanità offrivo il cuore e l'amore.

(Alexandrina descrive e commenta)

Ai lati di Gesù furono crocifissi i due ladroni. Io sentivo che le loro sofferenze, le loro croci aumentavano il carico su di me: sopra la croce di Gesù che era in me. entivo uscire dal Cuore divino di Gesù lo stesso amore, le stesse grazie: uno le accettava, l'altro le respingeva.

Sentivo la rivolta di colui che le respingeva e l'amore di colui che le accettava.

Cuori tanto afflitti stavano attorno alla croce!

San Giovanni, le tre Marie... Lo sguardo della Madre addolorata, Ella pure agonizzante, fece soffrire sempre di più il Cuore amantissimo di Gesù.

Dall'alto della croce contemplava la Madre in agonia di dolore e sussurrava: - Mamma, Mamma mia, persino tu servi come mio martirio! Il tuo dolore aumenta il mio: nemmeno tu puoi darmi sollievo!

Ella mormorava: - Tu mi sei figlio, io sono tua madre: la mia agonia è la tua agonia.

La Madre, la Madre, quanto soffrì con Gesù! Sulla croce, sul Calvario, era Lui con Lei un solo cuore, una sola anima, un solo dolore, un solo amore.

Là sul Calvario sentii i sentimenti di Gesù nel ricevere gli insulti e le bestemmie che contro di Lui venivano proferite. Gesù sussurrava: - Se io potessi fare di più per voi! Se io avessi altro sangue da versare per voi! - Tutti questi sentimenti erano pieni solo dell'amore di un Dio. La Madre si associava a Gesù: - Ho perduto un figlio per salvare tutti i suoi figli, e solo a costo di dolore potevano essere salvi!

Gesù in alto sulla croce e la Madre al suo piede avevano i medesimi sentimenti nei loro divini Cuori. Gesù, se potesse soffrire di più e morire più volte e la Madre, se avesse altri figli da consegnare alla morte, tutto farebbero perché noi fossimo salvi! Il dolore di quei due Cuori era nel vedere perdersi i loro figli.

Dalla croce osservavo nel mondo intero tutti i mali che nel decorrere dei tempi avrebbero rinnovato ad ogni momento la Passione di Cristo, che di me si era rivestito: soffrivo con Lui...

Sentivo gli affronti di tutta l'umanità, persona per persona: alcune infierivano con tutta crudeltà e malvagità; altre, forzate, e persino incoscienti del male che facevano.

Tutto sentivo, tutto mi stava davanti: il passato, il presente, l'ingratitudine e la malvagità del futuro.

Volevo poter piangere per le mie colpe e per quelle di tutta l'umanità. Oh, avessi avuto io il dolore e il pentimento della Maddalena! Ma no! Avevo solo ansie di abbracciarmi alla croce per amore di Gesù.

Il suo Cuore divino dispensava amore a tutti, amore infinito, persino a coloro che più Lo offendevano. Se Giuda si fosse rivolto a Gesù, persino lui avrebbe ricevuto il perdòno; persino lui avrebbe ricevuto dal nostro Gesù l'amore più tenero e più puro. La Madre soffriva con Lui e a tutti i suoi figli voleva dispensare amore e a tutti stendere il suo manto per custodirli. Nessuno ama come Gesù e Maria, e nessuno soffre come Loro.

Gesù non poteva staccare le braccia, ma io sentivo che voleva farlo per additare al mondo il suo Cuore divino e dirgli: - Prima di essere aperto dalla lancia, è aperto dall'amore: èper riceverti!

Il Cuore amava tanto: pareva che andasse a lanciarsi ai piedi di tutte le creature a chiedere loro di lasciarsi tutte conquistare.

Il suo divin Cuore diceva: - È giunta l'ora dell'amore: muoio per voi; non posso fare di più...

...Sto per morire: traete profitto dal mio divin sangue, dalla mia morte, se volete salvarvi. Muoio per darvi il Cielo. –

(Alexandrina descrivendo partecipa)

L'amorosissimo Gesù, tra gli insulti, sentiva la sete divoratrice del suo Cuore divino e sussurrava, pieno di tenerezza e di affetto: - Figli miei, ho sete di voi! È così che mi saziate?

Era sete tanto ardente che solo l'amore dei cuori del mondo intero poteva saziare.

Sentii passare sulle mie labbra, una volta e un'altra ancora, una spugna. La sete delle labbra rimase la stessa e quella del cuore aumentò. Il grido continuava: - Non è la sete delle labbra che voglio saziata, ma piuttosto la sete del cuore: è sete di anime!

La mia sete è ardente: ho sete di tutti i cuori, ho fame di tutta l'umanità. È solo nel darmi, nel darmi infinitamente e nel possedere immensamente che io sto bene. Solo così io potrei dire: amo e sono amata, amo e mi è ricambiato amore.

Il mio cuore formava, nel Suo, un solo cuore. Il dolore che Gesù sentiva, lo sentiva pure il mio cuore. Non so cosa fu: sentii un impulso tale che mi parve di staccare le braccia dalla croce per benedire tutta l'umanità. E il cuore si aprì in un abisso infinito di amore e di perdòno.

Mi parve che il mio cuore si trasformasse tutto in quello di Gesù: era tutto amore, aveva una sete divoratrice delle sofferenze perché vedeva che solo queste, con la morte, potevano dare la vita e aprire il Cielo.Mi diedi, mi diedi tutta al martirio, alla agonia...

(Alexandrina rivive come fosse Gesù)

Il grido della mia anima al Cielo non poteva cessare. Tutto il mio essere era cuore per amare e per consegnarsi al Padre.

Non perdetti l'unione con l'Eterno Padre: ero unita a Lui, vivevo la stessa vita di Lui; non volevo altra cosa che la sua divina volontà, perché era una volontà sola con la mia. Sentivo l'abbandono di Lui e la sua giustizia, ma Egli era me e io ero Lui.

Sentivo in me due vite o due nature: una che non restisteva a tanto dolore; l'altra che tutto vinceva.

In queste ore di agonia fu la vita divina che vinse nel mio corpo piagato, cadaverico. L'amore unito alla grazia e alla vita divina trionfò sul dolore, trionfò sulla morte.

Il mio cuore pareva essere legato, come mediante fili, al Cielo, alla vita stessa dell'Eterno Padre: Egli viveva in me e io in Lui; eravamo uno solo, nonostante che io fossi unita al mondo, rivestita di lui e nonostante che la giustizia divina pesasse su di me. Io davo al mondo la medesima vita che io ero, che dal Padre ricevevo...

Il mio grido di agonia echeggiava come la dinamite nella roccia; ma il Cielo, sì, il Cielo pareva chiuso per me. E la ingratitudine degli uomini sempre a ferirmi, sempre a portarmi alla morte! Le frecce del Cuore della Madre passavano al mio cuore e questo Le sussurrava: - Madre mia, accetta il mondo che è tuo: è figlio del mio sangue, è figlio del tuo dolore. Per salvarlo hai da cooperare con me. –

(Alexandrina descrive),

Si fece buio sul Calvario... Quasi tutti si ritirarono spaventati, temendo qualche avvenimento: era il timore e non l'amore la causa di questo spavento.

Un gran numero di coloro che mi avevano fatto soffrire scendevano terrorizzati: andavano gli uni dietro gli altri a nascondersi come formiche nel proprio formicaio.

A poco a poco tutto il Calvario rimase nel silenzio. Si udivano solo i sospiri di Gesù: regnava solo il dolore, aumentato dal rancore di molti cuori che, soffocati non so da che, non parlavano più.

Si udiva soltanto Gesù agonizzante: un silenzio pieno di rimorsi regnava su tutto il Calvario. Non vi era il sole: pareva notte. Solo due Cuori molto uniti come se fossero uno solo parlavano l'uno all'altro: erano solo dolore, solo amore.

Gesù potè vedere con i suoi santissimi occhi quasi moribondi la lancia che gli avrebbe ben presto aperto il petto e ferito il suo divino Cuore: davanti a Lui stava chi gliela avrebbe conficcata e dal suo Cuore divino uscivano verso costui come dei baci d'amore. Gli si esaurivano le forze, gli sfùggiva la vita, ma non si esauriva né da Lui stuggiva il suo divino amore...

La volta del Cielo pareva unirsi al suolo della montagna: voleva darle un abbraccio e un bacio di pace. Quanto più si approssimava la fine dell'agonia, tanto più questo abbraccio e bacio era intenso.

(Alexandnna, in quanto vittima espiatrice, rivive in sé i sentimenti dei peccatori che vuol redimere)

Io continuavo contro di Lui con un odio infernale! Egli mi guardava con sguardi di tenerezza e di invito:il mio odio si inferociva di più e, in ricompensa di tanto amore, gli sputacchiavo sul Volto! Gesù irruppe in un grido doloroso che fece tremare tutta la Terra.

(Alexandrina di nuovo descnve e commenta)

Vedevo gli uomini vomitare su di Lui i vomiti delle loro iniquità e ingiurie... Gesù muore per dare la vita! E gli uomini uccidono la vita!

Gesù sentiva l'abbandono del Cielo e della Terra e gli insulti e le maledizioni che cadevano su di Lui; e Lui non ne teneva conto: chiedeva perdòno per tutti.

La vista di tanta ingratitudine fece sì che Gesù alzasse verso il Padre i suoi sguardi divini pieni di compassione, chiedendo perdòno per coloro che Lo ferivano: non chiese vendetta; li discolpò.

Già quasi moribondo, mormorò: - Padre mio, mi costa la ingratitudine, ma perdona loro che non vogliono riconoscere che io sono tuo figlio.

Sentii Gesù dare le ultime gocce di sangue dal suo Cuore divino.

Sentii come se Gesù mostrasse al mondo il suo divin Cuore aperto, senza una goccia di sangue, e gli dicesse: - per te ho fatto tutto, ho dato tutto il mio sangue e ti ho amato tanto da non poterti amare di più.

Con gli occhi fissi al Cielo, agonizzava e ripeteva più volte: - Padre, Padre, Padre, accetta la mia agonia!...

Gesù, mentre spirava, con quale amore, bontà e dolcezza Gli disse: - Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito: è per Te il mio ultimo sospiro.

Né un grido, né un gemito era accolto dall'Eterno Padre! Persino la consegna dello spirito pareva non essere accolta!

Le nubi scendevano sulla Terra in segno di tremenda minaccia e di castigo: parevano cadere a brandelli neri; la scena era terrificante. Quale agonia piena di afflizione! Io mormoravo continuamente: - Gesù, Gesù!

E dentro di me un'altra voce ripeteva: - Padre, a Te, nelle tue mani, nsegno il mio spirito.

Lo vidi alzare al Cielo per l'ultima volta i suoi sguardi e reclinare poi il suo capo sacrosanto.

Non cessai di vedere e di sentire la Madre in lacrime che non distoglieva mai i suoi occhi da Gesù... Quando Gesù fissò per l'ultima volta gli occhi al Cielo e consegnò all'Eterno Padre il suo spirito, sentii come se Egli non li distogliesse dalla Madre e come se quel dolore fosse mortale per i due amorosi Cuori. Gesù morì di dolore, ma ardendo d'amore: lo sentii bene.

Dal suo Cuore divino uscirono dei raggi dorati verso il Cuore immacolato della Madre Addolorata, presso la croce: furono come gli addii di Gesù a Lei.

Sentii nel mio cuore i suoi ultimi sguardi e la dolcezza e l'amore che lasciava cadere su di me. Gesù sempre amore e io sempre ingratitudine!

Un grido doloroso, soffocato, mi attraversò il cuore. Era già da moribondo: era Gesù che agonizzava.

Ogni suo grido all'Eterno Padre avvicinava noi al Paradiso. Quando le sue labbra si muovevano in questi gridi dolorosi, io sentivo la dolcezza e il perdono che Egli dava a tutto il mondo.

Negli ultimi gridi al suo Eterno Padre fu tale lo sforzo, fu tale la violenza del dolore che Gesù pareva staccarsi dalla croce.

Il grido di agonia, dolorosissimo, risuonò per tutto il Calvario o, meglio, io sentii come se echeggiasse per il mondo intero e questo tutto tremasse...

Echeggiava nel mondo: muoveva e rimuoveva la Terra.

Egli Spirò: diede la vita per me! E in quel momento l'amore del suo Cuore divino immerse, affondò in Sé tutta l'umanità.

Il Cielo parve aprirsi in spaccature di flioco. Udii come un echeggiare strepitoso di tuoni.

Il velo del tempio si squarciò e cadde. La terra si scosse. Il Calvario si aprì in spaccature.

Tutti fuggirono. Solo le anime amiche di Gesù rimasero a fargli compagnia.

Fu un essere umano che soffrì, una vita divina che vinse.

Gli occhi della mia anima stettero sempre fissi al Cielo a chiedere perdòno e misericordia per la Terra.

Nel momento in cui Gesù stava spirando sentii come se tutto il Calvario salisse al suo divin Cuore e venisse coperto da un manto dorato: fu l'amore di Gesù che lo coprì.

Il Cielo si aprì quando Gesù spirò. Ormai tutti noi potevamo passare dal Calvario al Cielo.

In quel momento avvenne una tale fusione tra Cielo e Terra che i due rimasero uno solo. La Terra si riconciliò con il Cielo: ormai noi tutti potevamo vivere la stessa vita.

Il Cielo si unì alla Terra in tal modo che mi fece sentire e ricordare ciò che da bambina avevo visto: l'impasto che il panettiere fa nel cilindro; quella ruota mescolava tutto. Che movimento! Cielo e Terra: una stessa massa!...

(viene poi Gesù a spiegarle)

Quell'impasto è simbolico: è l'impasto che si ebbe sul Calvario: il Cielo con la Terra Fui io a dare la vita alla Terra stessa, dando per essa la mia vita...

Rimase il Cielo riconciliato con la Terra.

Gesù spirava e un suono armonioso riempiva Cielo e Terra.

Vidi dare il colpo di lancia nel suo divino costato.

Il Cuore aperto dalla lancia era un abisso di amore, era una lezione mai appresa né compresa, era un rifugio per tutto il mondo crudele.

Fu l'amore che portò Gesù a dare la vita. E la Madre, col suo caro Figlio tra le braccia, già morto, continuava la stessa missione d'amore: amare noi come Gesù.

Alexandrina fa, in anni diversi l'èsperienza di rivivere con Gesù la sua discesa "agli inferi"; ossia al Limbo. Stralciamo dai Diari due brani, del 1947 e del 1951 rispettivamente.

Sentii che dopo la morte, quella morte gloriosa (rivissuta alla fine della Passione), discesi come ad un inferno, ma non ad un inferno di fuoco, di maledizioni e tormenti, bensì ad un inferno solo di tremenda oscurità, dove non entrava nè luce nè gioia: era un inferno di cecità e di ansietà. Sentii come se Nostro Signore stesse in me, contento, a braccia aperte come chi si libra nell'aria, come una colomba che batte le ali, tra quella moltitudine trasmettendole la sua propria gioia e facendo sì che la moltitudine volasse tutta. Ma come, mio Dio?! Vivo e non vivo; sono io e non sono io; sono nel mondo e ne sono partita. Sentii che ero discesa a quell'inferno, ma che di nuovo ero uscita e che mi traevo dietro uno stormo di innumerevoli colombe bianche che volavano dietro a me; non dico bene: quegli esseri che non erano corpi volavano dietro a quel Corpo glorioso. Io sentii e vidi tutto, rimanendo sempre immersa nel dolore, nella cecità, nella morte.

Spirai (alla fine della Passione rivissuta). Il Calvario stava nelle tenebre.Io discesi in un luogo di tenebre e io stessa fui la luce che tutto illuminò. Dico "io", ma non fui io perchè io stessa sono tenebra e morte: fu quella Vita che visse in me, che trionfò sul Calvario, sulla croce.

(Alexandrina conclude)

Tra le nere nubi della morte, Gesù irruppe: si levò in alto e andò a splendere più oltre. Vinse tutto e su tutto trionfò. Ma io non Lo accompagnai in quella vittoria, in quel trionfo, in quella luce: rimasi sempre nel mio dolore, nella mia amarezza ed agonia. Egli andò nel gaudio di un trionfo luminoso, ma rimase sempre con me, unito a me: trasformato in me soffriva. Vorrei saper parlare di questo sdoppiamento di Gesù: nel gaudio e, contemporaneamente, nella unione dolorosa dentro al mio corpo; ma non so.

Gesù morì e visse sempre. Sentii che morì e sentivo che viveva. O vita, o vita celeste!

 

   

Para qualquer sugestão ou pedido de informações, pressione aqui :