Alexandrina de Balasar

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CAPITOLO 11
(1938~1941)

I MEDICI INDAGANO

Se non sbaglio, fu nella terza crocifissione che vennero i medici ad esaminare il mio Caso. Decisero che io fossi mandata ad Oporto... Il giorno 6 dicembre 1938, verso le 11, fui tolta dal mio letto e messa su di un 'ambulanza. - O mio Gesù, io vorrei soffrire tutto questo proprio anche se Voi non sapeste che sono io a soffrire. Siete degno di tutto. - Il dott. Azevedo cominciò ad esaminarmi minuziosamente, ma con tutta prudenza e delicatezza. Dal signor dott. Dias de Azevedo fui preavvisata che sarebbe meglio tornare ad Oporto per consultare il signor dott. Gomes de Araujo, se questa fosse la volontà del Signore. Mi chiese di invocare luce divina sul Caso, perche non voleva affatto contrariare il Signore. Si andrò! E' volonta di Gesù che io vada. Sarà per mia maggiore sofferenza! Sarà per maggior gloria del suo divino Cuore? Solo Gesu lo sa.

Il fenomeno dell'estasi di Passione con movimenti, inconcepibile in una paralizzata da anni, colpisce enormemente tutti, in particolare il direttore spirituale p. Pinho, il quale, fin dalla seconda volta che si ripete il fenomeno, fa esaminare Alexandrina da alcuni suoi confratelli: Subito alla seconda crocifissione cominciarono gli esami fatti da alcuni padri della Compagnia di Gesù, non durante le ore della crocifissione, ma prima e dopo. Cominciai a sentire che il mio direttore spirituale soffriva molto nell'intimo per causa mia, cioè per quanto avveniva.

Primi consulti.

P. Pinho ne parla al Primate arcivescovo di Braga, il quale esprime il desiderio che il Caso sia esaminato da un medico competente. P. Pinho stesso sente fortemente questa necessità. Invita a presenziare ad alcune delle prime di quelle estasi di Passione due medici: il medico curante dott. Giovanni Alves Ferreira di Macieira de Rates e il dott. Abilio de Carvalho, di Pòvoa de Varzim. Nell'Autobiografia leggiamo: 2 Se non sbaglio, fù nella terza crocifissione che vennero i medici ad esaminare il mio Caso. È difficile descrivere tutta la mia sofferenza: so che non ci riesco. Lasciarono il mio corpo martirizzato; ma altre cose mi costavano di più. La vergogna che mi facevano provare! Davanti a loro facevo una triste figura! Neppure la più grande criminale sarebbe giudicata da un tribunale con maggiore investigazione! Se potessi aprire la mia anima e lasciare vedere ciò che in essa avviene perché sto a rivivere quei giorni, lo farei solo allo scopo di fare del bene alle anime, mostrando quanto soffro per amore di Gesù e per loro. Fu soltanto per questo che mi sottomisi a tali sofferenze. Quando il mio direttore spirituale mi propose di lasciarmi esaminare dai medici, fu per me un grande tormento: una grande barriera di opposizione sorse nella mia anima. Volevo soffrire nascosta, volevo che solo Gesù sapesse della mia sofferenza. Ma comandava l'obbedienza. Tacqui e accettai tutto per Gesù. Ci mancavano i medici per completare il mio calvario! Alcuni furono veri aguzzini che incontrai sul mio cammino.

Terzo viaggio ad Oporto.

I medici, soltanto presenziando alle estasi e facendo vani interrogatorii, non possono concludere nulla di definitivo: sentono necessaria anzitutto una radiografia, quindi un trasporto ad Oporto. Sarà il terzo viaggio ad Oporto per visite mediche! Decisero che io fossi mandata ad Oporto. Mi costò molto il convincermi, per via dello stato in cui mi trovavo. Temevo di non poter sopportare il viaggio ed all'invito del medico curante risposi: - Allora, nel 1928, lei signor dottore non permise che io andassi a Fatima e ora, che sono tanto peggiorata, vuole che io vada ad Oporto?! - Sua ecc. mi rispose così: - E’ vero che non lo permisi; ma ora vorrei che andasse. - Gli domandai se il mio direttore spirituale sapeva la cosa; siccome mi affermò di sì, cedetti alla sua richiesta. Il giorno 6 dicembre 1938, verso le 11, fui tolta dal mio letto e messa su di un'autolettiga. In quella mattinata ero stata visitata da persone amiche: in quasi tutte avevo visto le lacrime agli occhi, così come nelle persone della mia famiglia. Io avevo cercato di rasserenare tutti, fingendo di non soffrire nulla. Fu doloroso il mio viaggio! Furono necessarie 3 ore e mezza per arrivare ad Oporto: ci fermammo molte volte. Ad Oporto, nel Consultorio del sign. dott. Roberto de Carvalho, mi fecero la radiografia; dal dottore fui trattata molto delicatamente. Mi disse: - Ah, fanciulla mia, quanto soffri! - Da lì fui trasportata al Collegio delle Figlie di Maria Immacolata, dove mi trattarono molto bene. Quello che mi costava di più era sopportare i rumori della strada: arrivavo alle volte quasi a perdere i sensi. Là fui esaminata dal sign. dott. Pessegueira: esame questo che servì solo a rendere maggiore la mia sofferenza. Tornando a casa (l'11 dicembre), ebbi di nuovo un viaggio penoso. Quando mi trovai nella mia cameretta, mi vidi circondata da varie persone amiche. La radiografia non rivelò nulla e lo stesso dott. Roberto de Carvalho, sospettando trattarsi di mielite, dichiarò che questi processi sfuggono alla radiografia.

Visitata da un famoso neurologo.

In «No calvario de Balasar» p. Pinho racconta come gli venne fatto di invitare a visitare Alexandrina il neurologo Elisio de Moura. P. Pinho era residente a Braga e per il Natale del 1938 si trovava a Braga il famoso neurologo. P. Pinho approfittò per invitarlo a visitare Alexandrina (essendo Balasar vicino a Braga). Appena p. Pinho gli parlò di estasi con movimenti, il dott. Moura subito pensò a isterismi o mistificazioni e con decisione affermò che l'avrebbe subito guarita lui. Con questa cattiva predisposizione, p. Pinho non si aspettò più nulla di buono dalla visita. Tuttavia non poté tirarsi indietro. Il giorno 26 dicembre 1938 andarono da Alexandrina il dott. Elisio de Moura con la sua sposa, il p. Giuseppe de Oliveira Dias e p. Pinho stesso. Ecco quanto racconta Alexandrina nell'Autobiografia: Il giorno 26 dicembre 1938 fui visitata ed esaminata dal sign. dott. Elisio de Moura, che mi trattò crudelmente, tentando di farmi sedere su di una sedia con tutta violenza. Siccome non ci riuscì affatto, mi ributtò sul letto e fece esperienze che mi fecero soffrire orribilmente: mi tappò la bocca, mi spinse contro la parete facendomi prendere un forte colpo. Vedendomi quasi svenuta, mi disse: - O mia Giovannina, non perdere i sensi! - Senza volerlo, piansi; ma offersi a Gesù tutte le mie lacrime insieme alle mie sofferenze, che furono molte, poiché ciò che dico è nulla in confronto a quanto passai. Gli perdonai tutto, perché era venuto col compito di studiare. Un riflesso di questa visita lo troviamo nella Lettera a p. Pinho dettata il 27 dicembre 1938, che inizia così: Mi costa molto parlare: ho il mio corpo che pare sia stato schiacciato da carri che gli sono passati sopra... Ma ecco subito poche righe dopo, si ha la prova della sua generosità nel soffrire, del suo amore a Gesù: A notte già alta piangevo dirottamente. Non mi usciva dalla mente ciò che il medico mi aveva fatto soffrire: ero molto tormentata e piena di dubbi. Nel ricordarmi, alzai le braccia al Cielo e dissi: - O mio Gesù, quanto mi costa, dopo tutto questo, rimanere così in questo stato dell'anima! Ma accetto tutto, tutto per vostro divino amore e per ciò che Voi sapete. Io vorrei soffrire tutto questo anche proprio se Voi non sapeste che sono io a soffrire. Siete degno di tutto. - I dubbi mi turbavano e io, afflitta, a non volere acconsentire ad essi neppure un istante, per non fare dispiacere al mio Gesù. Fu perciò il giorno di ieri un giorno di lacrime per me.

Quanto sono fraintese dal popolo le cose di Dio!

Il terzo viaggio di Alexandrina ad Oporto, poi la visita del grande neurologo Elisio de Moura suscitano nel popolo di Balasar grande scalpore, tanti commenti e critiche ed illazioni, in gran parte nate da invidia, da disamore. L'eco di queste voci porta un'altra forma di grande sofferenza per Alexandrina, la quale ne parla nell'Autobiografia: Gesù stava chiedendomi nuovi sacrifici. Per causa degli esami medici e degli inviati da Santa Sede (p. Antonio Durao nel 1937 e il canonico Vilar nel 1939 dei quali si parlerà nel Capitolo 12°) il mio Caso divenne più conosciuto: per me era un martirio. Volevo vivere nascosta a tutti! Nonostante che i miei famigliari non mi riportassero quanto fuori si diceva a mio riguardo, molte volte venivo a sapere i commenti che si facevano sulla mia vita. Poveri ignoranti, quante fandonie dicevano! Affermavano che il mio viaggio ad Oporto aveva avuto lo scopo di ottenere una pensione mensile, da parte del governo di Salazar: per alcuni era di 500 scudi, per altri di 300, per altri di 200! Non serviva a nulla tentare di smontare tali fandonie: restavano sempre nella loro opinione! Altri dicevano che ero andata per farmi fare la fotografia da santa», cioè a far valutare la mia santità per mezzo di una macchina. Mia sorella, per smontare questa idea, diceva: - Se questo fosse possibile, anch'io vorrei farmi questa fotografia per vedere a che punto sono. -Quanta pena ho nel vedere come le cose del Signore siano tanto malamente comprese! Altri ancora dicevano che tutti i sacerdoti che venivano a farmi visita stavano chiedendo, nelle loro parrocchie, elemosine da darmi e perciò non mi mancava niente. Dicevano che usavo fatture e facevano di me una strega, una pitonessa; varie persone venivano da me per farmi varie domande, come se io vaticinassi. Parlavo loro molto serenamente, fingendo di non comprenderle; ma quando insistevano, rispondevo: - Io non faccio l'indovina, nessuno può pronosticare: non abbiamo il diritto di penetrare nelle coscienze altrui; lo può solo il Signore. - Quando mi riferivano ciò che si diceva a mio riguardo, fingevo di non soffrire, ma soffrivo amaramente e rispondevo: - Parlano di me? È perché hanno da dire; io no. Lasciate che parlino tra loro! Che il Signore li perdoni: anch'io li perdòno. Parlano, parlano e parleranno. Non vi è chi li faccia tacere: alcuni contro di me, altri in mio favore. - E così il tempo andava passando. È ammirevole la reazione di Alexandrina alla meschina cattivena o alla ignoranza di vani suoi compaesani. Tali accuse non possono non provocare un dolore profondo, sia per le accuse fatte a suo riguardo, sia per la cattiva fama buttata addosso ad alcuni sacerdoti e sia anche per la pena che prova per le anime degli accusatori. Eppure tutto sa nascondere e minimizza con frasi di somma saggezza.

Entra in scena il dott. Azevedo.

Nel gennaio del 1941, tra coloro che vanno da p. Pinho a chiedere un biglietto di presentazione per visitare Alexandrina, c'è il medico dott. Emanuele Augusto Dias de Azevedo. Alexandrina narra nell'Autobiografia il suo primo incontro con colui che è mandato da Dio per assisterla, sia fisicamente che spiritualmente, come un vero Cireneo (così Alexandrina lo sente indicare da Gesù in varie estasi e così lei stessa lo considera) che l'aiuta a portare la croce sempre più pesante fino alla estrema vetta. Il 29 gennaio del 1941 ricevetti la visita di un sacerdote conosciuto, accompagnato da varie persone della sua parrocchia. Me le presentò all'arrivo, ma solo dopo una lunga conversazione venni a sapere che uno di loro era medico. Sapendo di avere vicino un medico, arrossii di vergogna, non perché avessi mentito nel raccontare della mia sofferenza, ma perché non mi aspettavo qui un medico. Sua ecc. (quel medico Azevedo) si mantenne silenzioso e sorridente. Non so dire cosa sentivo nell'intimo per lui. Ero molto lontana dal pensare che, poco tempo dopo, egli sarebbe diventato il mio medico curante. Cominciò ad esaminarmi minuziosamente, ma con tutta prudenza e delicatezza. Il dott. Azevedo rimane subito colpito fin dal primo incontro con Alexandrina e intuisce che il Caso è molto serio e va studiato, sia dal punto di vista medico che da quello spirituale, teologico. Assiste ad alcune estasi di Passione e si decide, anche dietro l'invito di p. Pinho, a studiare lui personalmente il Caso. Il 15 febbraio 1941 Azevedo scrive a p. Pinho una lettera da cui riportiamo quanto segue: «Andrò più volte a Balasar e cercherò come medico di studiare la malattia di Alexandrina, malattia che accompagna i doni di cui il Signore l'ha dotata. Questa malattia, che sarà una mielite lombare e che dovrà essere studiata con rispetto ed attenzione da vani medici, a mio parere chiarisce di più tutti i fenomeni che avvengono ogni venerdì, principalmente su ciò che riguarda i movimenti. Quanto agli aspetti vani, compostezza di movimenti, profondità di concetti teologici e mistici che esprime, tutto questo è semplicemente ammirevole. Nulla, assolutamente nulla di quanto avviene ci potrebbe permettere di classificare, sia sotto il punto di vista clinico, sia sotto il punto di vista teologico, come naturali o diabolici i fenomeni che osserviamo. Inoltre, la sua vita umile e senza pretese, la sua mancanza di cultura, il suo equilibrio dell'intelligenza e i suoi atteggiamenti, la sua rassegnazione completa e l'umiltà profonda, i suoi frequenti lampi di genio, tutto questo, avvolto in una semplicità che incanta, dà prove manifeste che si tratta di un'anima che trabocca di soprannaturale, presso la quale ci sentiamo piccoli, molto e molto piccoli. Sia benedetto il Signore che ci da tali angeli per espiare i nostri peccati!» Vi si legge un ritratto di Alexandrina veramente espressivo! Il dott. Azevedo, nel corso del suo studio, ritiene opportuno chiamare a consulto il dott. Abel Pacheco, lo specialista di Oporto che aveva già visitata Alexandrina nel 1922 (vedi Capitolo 3°, Prime visite mediche ad Oporto) e il medico curante dott. Giovanni Mves Ferreira di Macieira de Rates. Nell'Autobiografia Alexandrina commenta: Rimasi molto triste perché ero già satura di esami medici. Ma cedetti, avendo sempre di mira la volontà del Signore e il bene delle anime. Il consulto avviene il 1° maggio del 1941. Il dott. Pacheco non concorda col dott. Azevedo circa la diagnosi della paralisi di Alexandrina. Di qui la necessità di ricorrere ad uno specialista famoso: il dott. Azevedo decide per il dott. Gomes de Araùjo di Oporto. Un altro viaggio ad Oporto! Il dott. Azevedo si rende ben conto dell'enorme sacrificio che questo comporta per Mexandrina. Tuttavia desidera ardentemente che questo controllo venga fatto, sopratutto per sventare le brutte voci secondo le quali Mexandrina è una isterica di alto grado, voci diffuse dopo il consulto col dott. Pacheco. Azevedo, nella sua lettera del 5 luglio 1941 a p. Pinho, scrive tra l'altro: «Non starei in me dalla contentezza se Dio permettesse la consatatazione elettrica della malattia che io giudico che sia (cioè mielite), affinché venissero dagli altri messi da parte gli isterismi, che per me non hanno messo radici e non ne metterebbero, anche se l'esame elettrico non desse nulla.»

Quarto viaggio ad Oporto.

Dal sign. dott. Dias de Azevedo fui preavvisata che sarebbe meglio tornare ad Oporto per consultare il sign. dott. Gomes de Araùjo, se questa fosse la volontà del Signore. Mi chiese di invocare luce divina sul Caso, perché non voleva affatto contrariare il Signore. Chiesi questa luce per un mese. Ma, quanto più chiedevo luce, tanto più rimanevo in tenebre, diventando così sempre più profondo il dolore della mia anima, non sapendo cosa dovessi fare, fino a che il Signore mi disse che era di sua divina volontà che andassi ad Oporto. Il mio stato fisico era gravissimo: temevano di togliermi dal letto per un viaggio così lungo; anch'io temevo e molto poiché, se non sopportavo che mi tocassero il corpo, come avrei potuto andare tanto lontano?! Incoraggiata dalle parole del Signore, avevo fiducia in Lui e, sotto la sua azione divina, mi preparai per partire all'alba del 15 luglio 1941. Nella lettera in cui Alexandrina comunica ad Azevedo la sua determinazione ad andare ad Oporto, leggiamo: ...Sì, andrò! È volontà di Gesù che io vada. Sarà per mia maggiore sofferenza! Sarà per maggior gloria del suo divino Cuore? Solo Gesù lo sa. Soffrii tanto nel chiedergli la luce, mentre Lui non me la dava! E ora soffro agonia forse ancora maggiore. Ho tanta vergogna! Tanta paura! Mio Dio, mio Dio, tutto per amore a Voi!... Per renderci conto della elevatezza della sua anima, conviene leggere quanto detta nella Lettera a p. Pinho del 14 luglio 1941, vigilia della partenza: Sono in una notte oscura, arida, senza che in tutto il suo decorrere cada una piccola goccia di rugiada. Non vi è balsamo per il dolore della mia anima. Vedo da lontano i colpi che vengono a ferire il mio povero cuore. A stento posso respirare per il peso delle umiliazioni. Dico tra me e me, nel sentire tutte le sofferenze che mi porta il mio viaggio ad Oporto: vado ad essere giudicata. Se tutto quanto avviene in me non fosse di Gesù ma fatto da me, chi offenderei io perché sia necessario questo, se non Lui? Sento che il mio povero cuore ora già più che mai diventa il tappeto su cui quasi tutti puliscono i loro piedi. Sono uno straccio vecchio su cui tutti sputano e che tutti scherniscono. Annichilita ed oppressa sotto questo dolore, questa amarezza, mi viene in mente: è per Gesù, è per le anime. E subito tutto il mio essere si trasforma in un solo pensiero: Dio in tutto e sopra tutto. Passerei tutto il tempo della mia vita a pensare solo a Dio. Tutto passa, solo Dio resta. Il pensiero di Dio abbraccia il Cielo e la Terra. Mi immergo in Dio. Posso amarlo e pensare a Lui per tutta l'eternità. Questo pensiero mi risolleva dal mio scoraggiamento: solo pensando così rendo soave il mio dolore. Solo immersa in Dio posso sorridere al quadro doloroso e triste che si presenta davanti a me. Fingo di sentire grande gioia per il mio viaggio ad Oporto, per rallegrare i miei, afFinché non comprendano il dolore del mio cuore. È per Gesù che io vado, è per le anime che io soffro. Solo da Gesù aspetto il coraggio e l'amore per resistere a tutto... Riprendiamo ora l'Autobiografia per leggere la descrizione di questo famoso viaggio. Erano le 4 del mattino. Avevo già recitato le mie orazioni e, per fingere che andavo molto contenta, cominciai a chiamare mia sorella dicendole che andavamo in città. Solo in questo modo nascondevo il mio dolore e rasserenavo i miei. Mentre parlavo così, sentii l'automobile che, poco dopo, si fermò presso la nostra casa. Entrò nella mia camera il sign. dott. Dias de Azevedo accompagnato da un signore amico.1 Dopo avere conversato un poco, mia sorella si vesti e ci preparammo per uscire. Alle 4 e 30 partimmo: era ancora notte, per non allarmare la popolazione; uscimmo dal nostro paese senza incontrare nessuno. In quale silenzio stava la mia anima! Immersa in un abisso di tristezza, ma senza se pararmi un istante dall'unione intima col mio Gesù, continuavo a chiedergli sempre tutto il coraggio per l'esame che avrei avuto e offrivo tutto il mio sacrificio per il suo divino amore e per le anime. Invocavo la Mamma celeste, i santi e le sante che più amavo. Non mi interessava nulla e tutto quanto mi si presentava mi causava profonda tristezza. Di tanto in tanto interrompevano il mio silenzio domandandomi se andavo bene. Ringraziavo senza uscire dall'abisso in cui ero immersa. Era già giorno chiaro quando ci fermammo a Trofa, in casa del signore che ci accompagnava. Era lì che dovevo riposare e ricevere il mio Gesù, in attesa di ripartire per Oporto. Prima di riprendere il mio viaggio fui portata nel giardino del signor Sampaio; sostenuta e sotto l'azione proprio divina, andai persino vicino ad alcuni fiori, che colsi dicendo: - Quando il Signore creò questi fiori sapeva già che oggi sarei venuta qui a coglierli! - Fui poi fotografata in due posti prescelti: andai dall'uno all'altro con i miei piedi, cosa che mai più avevo potuto fare da quando mi ero messa a letto, perché non potevo neppure voltarmi di fianco nel letto. Fu solo per un miracolo divino, perché senza di esso non mi sarei mossa: non tolleravo neppure che mi toccassero. Entrai poi nell'automobile, proseguii il viaggio e la mia anima soffriva orribilmente. A 6 chilometri da Oporto il Signore sospese il suo intervento divino. Ricominciai a sentire tutte le sofferenze del mio corpo ed il resto del viaggio ridivenne tormentoso. Dissi, non perché sapessi la distanza che mancava, ma perché il mio stato mi obbligò a parlare così: - Siamo già vicino ad Oporto. - Qualcuno mi confermò: - Ci siamo, ci siamo! - Infatti aveva visto che mancavano solo quei 6 chilometri cui mi sono riferita. L'entrare dell'automobile nel Consultorio fu quanto vi è di più doloroso. Sentivo nel corpo il più grande martirio e nell'anima la più grande agonia: mi pareva di morire. Prima di entrare nella sala dei consulti, dicevo a coloro che mi portavano in braccio: - Posatemi, posatemi anche sul pavimento! - Improvvisamente apparve il medico che mi fece distendere su di un lettino da visita dove rimasi Fino a quando fui visitata. Poco prima di entrare nella sala dei consulti, il Signore mi liberò dall'agonia dell'anima, lasciandomi solo le sofferenze fisiche: potevo già resistere meglio. Cominciò l'esame che fu molto doloroso e prolungato. Mentre mi spogliavano mi dicevano di non affliggermi. E io, ricordando ciò che avevano fatto al Signore, dissi a me stessa: - Spogliarono anche Gesù! - E non pensai ad altro. Il sign. dott. Gomes de Araùjo, nonostante che mi sembrasse un po' brusco, fu prudente e delicato. Nel ritorno a casa, Gesù tornò ad usare su di me la sua azione divina affinché potessi continuare il mio viaggio, ma mi diede nuovamente le agonie dell'anima. Giunti a Ribeirào, mi fecero riposare in casa del sign. dott. Dias de Azevedo, in attesa della notte, per poter rientrare nel mio paese senza che nessuno si accorgesse. Sia in una casa che nell'altra fui trattata da tutti con molta sollecitudine, ma nulla mi dava conforto. Sorridevo ad ogni attenzione, per nascondere il più possibile il mio dolore. Uscii da là già a notte e tutto mi invitava ad un silenzio sempre più profondo. Non avvertivo nulla di quanto avveniva. Durante il tragitto osservai solo i fiori del giardino di Famalicào, perché mi venne richiamata l'attenzione su di essi. Quando arrivammo a casa era mezzanotte; e così ottenemmo che nessuno sapesse della mia uscita dal paese. Dopo questo viaggio le sofferenze fisiche si aggravarono molto, molto: quanto avrei dovuto sentire nel viaggio, il Signore me lo riservò per il giorno seguente, peggiorando io sempre di più. Il giorno seguente, mercoledì, p.Pinho va a farle visita e celebra nella camera una S. Messa. Nonostante questa visita, Alexandrina sente il bisogno, il giorno dopo, giovedì 17 di inviare a p. Pinho una lunga Lettera in cui descrive il giorno del suo viaggio ad Oporto. È bello riportarne qui alcune parti che mostrano la sua generosità nell'offrirsi vittima e il suo modo di affrontare il martirio, proprio ad imitazione dei primi martiri. Padre mio, è con molto sacrificio che mi accingo a descrivere il giorno del mio viaggio ad Oporto. Sarà per maggior gloria di Gesù? Servirà per profitto delle anime? Non lo so... Poco dopo mezzanotte mi preparai per la partenza. Feci tutte le preghiere del mattino, chiesi l'aiuto del Cielo, offersi il sacrificio a Gesù e alla Mamma celeste per ricevere da Loro amore, fino a morire d'amore. Poi offersi per alcune persone che mi sono più care, essendo al primo posto lei, mio padre spirituale. Chiesi a Gesù in cambio del mio sacrificio la pace per il mondo, la Consacrazione del mondo alla Mamma celeste, chiesi che tenesse libero dalla guerra il Portogallo. Lo invocai per i peccatori, per i sacerdoti, ecc. Mentre aspettavo l'ora della partenza, il mio cuore sanguinava di dolore, ma avevo ansie di dare tutto a Gesù. La mia partenza fu alle 4 e mezza del mattino... Per me il Cielo non aveva stelle, non mi apparve lo spuntare del giorno, il sole non splendette: tutto il panorama era triste e doloroso. I nomi di Gesù e della cara Mamma celeste non si cancellarono mai nella mia mente: era per Loro che io andavo. Anelavo ad arrivare alla fine del mio sacrificio. Mi fermai durante il viaggio per riposare in una casa amica, dove fui circondata da tenerezza e amore. Fu là che ricevetti il mio Gesù, la vita della mia vita, la forza nel mio soffrire. Egli si degnò di dirmi alcune parole che infusero nel mio cuore coraggio e maggior desiderio di soffrire per Lui: - Figlia mia, figlia mia, il tuo sacrificio è lacci d'amore che legano di più e sempre di più il mio Cuore al tuo e gli stessi lacci d'amore legano il tuo padre spirituale e tutti quelli che ti stanno attorno e si prendono cura di te. Ti amo, ti amo, ti amo - Proseguii il viaggio; proseguì pure il mio martirio... Quando si approssimava il momento dell'esame, mi sentii come se fossi veramente condotta al martirio e in esso intonassi lodi al Signore; mi sentii piena di coraggio: volevo cantare... Soffrii dolori orribili con il sorriso e molte volte col nome di Gesù sulle labbra... E spuntò il giorno di mercoledì. Arrivò lei, padre mio; e poco dopo il cuore sentiva già vita. Fu fuori dal letto che io assistetti alla S. Messa e ricevetti il mio Gesù. Fu una visita della più grande dolcezza e soavità, ma per nulla di consolazione. I dolori del corpo andavano aumentando: a mala pena so descrivere il mio soffrire. Nelle ore di maggiore angoscia Gesù mi parlò così: - Figlia mia, ecco la tua sofferenza per i sacerdoti. Soffri per loro. Il dolore mi ripara. Gli ardori che ti bruciavano sono gli ardori delle passioni. Mi servii dell'esame medico per farti soffrire per loro. - Poco dopo Gesù tornò a dirmi: - Figlia mia, di al tuo padre spirituale che sia lieto per il tuo dolore, che sia lieto nel vedermi riparato, che sia lieto nel vederti salvarmi le anime. Se egli non fosse stato qui, la tua sofferenza sarebbe stata insopportabile. Digli che acconsenta che tu soffra molto in questi giorni: ho bisogno di riparazione. - ... Oggi Gesù continua a martirizzarmi. Il mio martirio ègrande nel ricevere Gesù (nella Comunione). Le aridità e le tenebre dell'anima non mi lasciano godere la dolcezza e la soavità del suo amore. Fu una mattina di tormento nell'anima e nel corpo. Furono orribili i dubbi e le paure per la crocifissione (è giovedì). La sofferenza del pomeriggio fu più soave: sentivo l'unione delle nostre anime e contemplavo il Calvario con più amore. Perdòno, padre mio, per la povera Alexandrina. A questi dolori Alexandrina accenna anche in una lettera al dott. Azevedo, nella quale però risalta, come sempre, il suo amore a Gesù. Signor dottore, le mie sofferenze continuano aumentate, forse per l'esame che subii ad Oporto. Ma non importa! Ho più da offrire al mio Gesù e Lui ha più da distribuire alle anime. Ciò che io voglio è consolare il suo Cuore divino tanto ferito. Ciò che voglio è che le mie sofferenze siano come incenso del più puro che continuamente sale dalla Terra al Cielo. Il peso delle umiliazioni continua a gravare su di me. Io sono inganno per tutti. E ciò che mi produce più dolore è sentir dire che io sono causa di abbattimento e di umiliazione per il mio caro figlioccio. e per il mio padre spirituale. Mi perdòni tutto: io non vorrei farla soffrire. Gesù, Gesù, siate con me! Questo esame ad Oporto del 15 luglio 1941 porta, è vero, ad Mexandrina enormi sofferenze, ma anche dà una prima vittoria al dott. Azevedo poiché il grande neurologo Gomes de Araùjo concorda con lui nella diagnosi di mielite compressa midollare ed esclude il caso di isterismo. In una lettera, del 15 luglio stesso, del dott. Azevedo a p.Pinho si legge: Ora che ho riportato al Calvario (frazione in cui Alexandrina abita) l'ammalata e che sto per salutarla, non voglio farlo senza lasciare scritto l'impressione del sign. dott. Gomes de Araùjo. Dopo un esame molto rigoroso e che le causò molti dolori, scrisse quanto segue: L'ammalata Alexandrina Maria da Costa è portatrice, secondo me, di compressione midollare alta, sola o complicata da altri focolai compressivi più bassi. Firmato: Gomes de Araujo, 15 luglio 1941." A suo parere (continua il dott. Azevedo) la malattia sta dunque nel midollo e non affatto in altro punto, cioè nei nervi dei membri inferiori. Quanto alla ecologia, alla causa, potrebbe questa compressione essere dovuta a qualche lamina o parte ossea che sia partita quando venne fatto il salto (dalla finestra)... Io presi in considerazione l'isterismo e gliene parlai, ed egli mise da parte questa idea. È chiaro che, se gli parlai di isterismo, fu per udire la sua opinione.» A proposito della mielite compressa e della sua causa, il dott. Azevedo, nel Processo Diocesano Informativo per la beatificazione di Alexandrina dichiara nel 1967: Credo che la causa principale della mielite sia stata senza dubbio il salto dalla finestra. Lo stesso individuo che causò la caduta (Lino Ferreira) arrivò a dire che per causa sua Alexandrina stava così... La malattia principale di Alexandrina doveva essere una mielite, come di fatto confermarono diversi medici, tra cui il dott. Gomes de Araùjo e il prpf. dott. Carlo Lima. Tutti eravamo convinti che la causa principale della mielite fosse il salto dalla finestra, cui anteriormente abbiamo fatto riferimento.»

 

   

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